Marzano (comunità di Camparta) «La droga è sempre tra noi Con il Covid lotta più difficile»

di Paolo Micheletto

Il Covid ha reso ancora più difficile il lavoro degli operatori delle comunità di recupero dei tossicodipendenti: prima di tutto l'ospite appena arriva viene messo in isolamento, che in situazioni di difficoltà diventa ancora più pesante. E poi sono stati ridotti al minimo i contatti con l'esterno, a iniziare dalle famiglie degli ospiti e dal lavoro dei volontari.

Nonostante tutto, però, le comunità proseguono il loro lavoro tenace e meritorio. Senza perdersi d'animo.
È il caso del Centro terapeutico antidroga di Camparta, a Vigo Meano, il primo nato in Trentino, era il 1978, su spinta e iniziativa di Valerio Costa. 

A Camparta i posti sono 21 di cui 16 a disposizione della provincia di Trento; i pazienti hanno un'età dai 21 ai 28 anni: ai piedi del Calisio, accanto alla casa colonica che ospita la comunità, i ragazzi lavorano nei campi, nella stalla con le mucche e negli orti: l'attività agricola è parte integrante del percorso di recupero. 

Amelia Marzano, medico, è la presidente della comunità, che è riuscita a tenere "fuori" il Covid: «Prima di tutto sono stati bravi gli operatori, che sono stati molto attenti contro il virus - spiega la dottoressa Marzano - Ma il 2020 è stato impegnativo. Ogni utente si presenta con un test anti Covid negativo e viene messo in isolamento: e capite quanto possa essere difficile iniziare da soli, isolati tra gli isolati, un percorso in comunità. Abbiamo dovuto sospendere i colloqui con i familiari, che facevamo una volta al mese. Per fortuna abbiamo a disposizione gli spazi all'aperto».
Dottoressa Marzano, ieri mattina sono state arrestate 16 persone che gestivano un traffico di sostanze stupefacenti a Trento.
È la conferma che la tossicodipendenza esiste ed è un fenomeno rilevante, anche in Trentino.
Ma l'opinione pubblica sottovaluta il problema della droga? Se ne parla pochissimo.
Non si parla più della droga, è vero. I ragazzi non si vedono più per le strade, ma ci sono ancora anche se non sono più quelli di una volta. Non ci sono più i furti di autoradio o le minacce di rapina con la siringa e forse è per questo che sembrano scomparsi. Parlarne diventa fondamentale, perché il problema non è certo stato risolto.
Come è cambiata la lotta alla droga negli ultimi anni?
Sono cambiati i ragazzi che fanno uso di droga. Di fatto una volta c'era solo l'eroina, che era costosissima. Ora c'è anche la cocaina e ci sono i farmaci e le droghe sintetiche di tutti i tipi, a costi decisamente più abbordabili. Dobbiamo spesso affrontare i casi di minorenni che a 17 anni hanno visto, patito e fatto di tutto, portandosi dietro traumi impressionanti.
Ma cosa si fa per prevenire queste situazioni?
Diventa sempre più importante curarsi delle persone prima che arrivino alle dipendenze. È necessario un approccio multidisciplinare, lavorando anche sulle famiglie. Anche loro, infatti, devono cambiare durante il percorso di recupero, per essere pronte quando il ragazzo torna a casa.
Cosa chiedete alla politica e alle istituzioni?
Di lavorare di più sulle scuole e sul mondo giovanile in genere. Di essere più attenti alla genitorialità. Di migliorare il rapporto tra i tossicodipendenti e il carcere, che non è sempre facile. Di pensare a strumenti sempre più efficaci e al passo con i tempi: forse servirebbero, ad esempio, piccole comunità riservate solo alle ragazze, chiamate a riprendere in mano il concetto di sé e dell'autostima.
Perché in quarant'anni non siamo stati capaci di risolvere il problema delle dipendenze dalle droghe?
Non solo il problema non è stato risolto, ma nel corso degli anni si sono aggiunte altre dipendenze molto pesanti, come quella dal gioco. Diciamo che da sempre le dipendenze sono una necessità per sedare ansie e nascondere problemi, basti pensare allo storico abuso dell'alcol.
Ma qual è stato il cambiamento fondamentale degli ultimi anni?
Il fatto che sono emerse patologie psichiatriche importanti: la dipendenza è diventata sempre più la "copertura" di una malattia psichiatrica.
Si può davvero uscire dalla droga?
Si può uscire. I casi che lo dimostrano sono tantissimi.
Ma resta un segno per sempre?
Diciamo che si guarisce ma una "traccia" rimane per sempre, un po' come con altre patologie gravi quali il cancro che possono guarire. Ma questa non sempre è una debolezza: se una persona ha vissuto certe esperienze può diventare più forte degli altri.
Come trattenete i tossicodipendenti in comunità?
Con l'arma della convinzione e del dialogo. Spesso è importante far passare il momento peggiore: succede dopo una notte difficile che il paziente abbia cambiato idea e voglia restare. Ma non abbiamo nulla oltre il convincimento: e anche nel caso di fuga è importante lasciare la porta aperta per il ritorno.
Ogni ragazzo che perdete è una sconfitta.
È chiaro che ogni uscita non prevista, magari dopo alcuni mesi in comunità può essere vissuta come una sconfitta. Anche gli episodi di violenza contro sé o gli altri sono fatti oggetto di grande attenzione. L'importante è non lasciarsi mai andare allo sconforto e, soprattutto analizzare i casi critici anche dopo che si sono verificati, per fare in modo che non si ripetano.
In Trentino ci sono quattro comunità di recupero.
Prima dell'esplosione del Covid ci eravamo riuniti attorno a un tavolo, chiamati da Federico Samaden. Una collaborazione, peraltro iniziata già prima tra le quattro comunità e il Serd, che per noi è fondamentale, anche per arrivare a una maggiore specializzazione e per investire sul futuro. Penso ad esempio a strutture riservate alle donne, ai molto giovani o a chi sta per concludere il proprio percorso in comunità: per questi ultimi è importante un passaggio graduale verso la vita di tutti i giorni, magari ospitandoli per qualche mese solo di notte.
Cosa pensa della serie di Netflix e di San Patrignano?
A prescindere del fatto che si parla del secolo scorso e al di là del gran numero delle persone salvate da San Patrignano e dalle altre comunità terapeutiche, non posso non ricordare che Camparta, e non solo, non ha mai fatto ricorso a metodi coercitivi senza che, per questo, si sia persa l'efficacia degli interventi.

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