In lockdown, divorziare è un lusso. Cause in calo (anche perché la giustizia è ferma)

di Sergio Damiani

Nei mesi in cui il covid-19 aveva messo l’Italia in lockdown, tra le mura domestiche si consumava un dramma: quello delle coppie, sposate o anche non, giunte al capolinea, ma di fatto costrette a prolungare una convivenza diventata insopportabile. Eppure i dati del Tribunale di Trento mostrano che nell’anno della pandemia divorzi e separazioni nel circondario di Trento sono diminuiti del 17% rispetto al 2019. Per capire cosa nasconda questo dato abbiamo chiesto aiuto all’avvocata Cinzia Tomasoni, presidente di AIAF Associazione italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, sezione Trentino Alto Adige.

Avvocata, come spiegare il calo nella nostra regione, per certi aspetti sorprendente, di divorzi e separazioni nel 2020?
Di certo un peso lo ha avuto il fatto che per due mesi la giustizia di fatto si è fermata. Questo non può che pesare sulla statistica dell’anno passato.

Si sono fermati anche i procedimenti per divorzi e separazioni?
Sì, la sospensione ha interessato anche i procedimenti familiari. Venivano trattati solo quei procedimenti in cui vi fosse pregiudizio per la tutela dei bisogni essenziali e o vi fosse necessità di urgente trattazione. Tra questi non c’erano divorzi e separazioni.

Dunque se non ne potevo più di mia moglie o di mio marito ero costretto ad aspettare la fine del lockdown per dire addio.
In molti casi è accaduto questo.

Le è capitato di ricevere in studio un cliente che non ne poteva più di stare col coniuge?
Certo, c’è stato sicuramente un aumento della conflittualità, anche se la mia impressione è che si siano acuiti problemi nella famiglie dove già c’erano segnali di rottura. Ma mi sono capitate anche situazioni opposte: coppie in crisi che dopo il lockdown sono tornate a stare insieme.

L’amore trionfa anche durante la pandemia. Sembra un film...
Eppure ho visto casi di questo tipo. Purtroppo in molti casi non è che abbia trionfato l’amore. Semplicemente l’emergenza sanitaria ha impoverito molte famiglie, specie nel settore del turismo e del terziario in generale che in Trentino sono assi portanti dell’economia.

Vuol dire che divorziare è diventato un lusso che non tutti possono permettersi?
È un dato di fatto che con due stipendi si vive bene, mentre con uno si fatica, specie se ci sono figli. Molti trentini hanno dovuto farsi i conti in tasca e hanno scoperto che forse era meglio rimanere insieme.

E poi ci sono le spese dell’avvocato: quanto costa una separazione?
I compensi degli avvocati sono determinati con decreto ministeriale. Non ha senso fare cifre perché i casi possono essere molto diversi: dipende innanzitutto se i coniugi trovano un accordo sulla separazione consensuale o sul divorzio congiunto. In tal caso il compenso dipende dall’attività stragiudiziale che viene svolta prima del deposito del ricorso. Ci sono casi in cui le trattative si esauriscono con due mail, altri, quando, per esempio, si è in presenza di situazioni reddituali e patrimoniali di una certa entità, che possono richiedere tempi molti più lunghi. Se i coniugi non trovano l’accordo si procede in via giudiziale e a quel punto si avvia un contenzioso che viene definito da una sentenza, con evidente aggravio di spese legali.

Pare che durante il lockdown la stretta convivenza abbia fatto emergere con maggiore facilità i casi di infedeltà coniugale.
È ragionevole che sia successo.

Sono aumentate anche le violenze domestiche?
Finito il lockdown c’è stato un aumento dei casi di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza, ma per fortuna dai dati in nostro possesso non sono aumentate le situazioni di violenza rispetto all’anno precedente.

Tra le vittime collaterali della pandemia possiamo mettere anche i figli delle coppie separate?
I minori sono stati la categoria più vulnerabile. Nei casi di coppie separate si è posto il problema della frequentazione fra i figli ed il genitore non collocatario.

Cosa significa?
Per il principio alla bigenitorialità, deve essere garantito il diritto del minore di frequentare entrambi i genitori, anche quello con il quale non risiedono. Quando il 9 marzo 2020 è stato chiuso in casa gran parte del Paese, all’improvviso si è posto il problema, stante le limitazioni sugli spostamenti, di garantire la frequentazione anche con il genitore non collocatario. In alcuni casi la questione è arrivata anche davanti al giudice.

E come è andata a finire?
Ci sono state decisioni diverse. C’è chi ha fatto prevalere il diritto al bigenitorialità, dunque favorendo gli incontri, e chi al contrario ha ritenuto prevalente il diritto alla salute, limitando i contatti con invito a mantenere i rapporti attraverso videochiamate tipo Skype. Molti giudici hanno deciso caso per caso, cercando di contemperare due diritti entrambi molto importanti per il benessere del minore.

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