Chiusura dello sci e spettro lockdown, prima tegola sul governo. Regioni indignate: mazzata intollerabile lo stop alla vigilia. E Sgarbi: «Draghi cacci il ministro Speranza e il consigliere Ricciardi»

Sgarbi: «Draghi cacci il ministro Speranza e il consigliere Ricciardi»

di Redazione Web

Per molti, sulle montagne italiane, ha avuto quasi il sapore della "provocazione" e si addita l'arroganza di un potere centrale «irrispettoso» anche nelle forme (la cancellazione delle riaperture dello sci annunciata la sera prima), oltre che nei contenuti (le previsioni di rischio giudicate esagerate e incomprensibili, a soli pochi giorni dal via libera del protocollo di sicurezza).

Dalle montagne italiane, dunque, dell'arco alpino e non solo, dopo quanto accaduto nelle ultime 24 ore, arriva un grido di indignazione prima ancora che di denuncia e di scoramento diffuso, dopo mesi di lavoro per arrivare a un protocollo di prevenzione condiviso.

Indignazione per il trattamento riservato a opera del ministro della salute, Roberto Speranza, e dei suoi consiglieri, a un settore così rilevante dell'economia e del tessuto sociale nelle comunità montane.

Dopo aver investito energie e denaro per costruire un modello anti-covid sicuro, nelle piste da sci  e nelle varie attività a corollario, apprendiamo dai media che il governo aveva scherzato, si sfogano molti operatori, ma anche politici e osservatori, intervistati in queste ore dalla stampa.

Sgarbi: via subito Speranza e Ricciardi

Fra le prime voci caustiche contro il duo Ricciardi-Speranza, quella di Vittorio Sgarbi, critico d'arte, deputato e presidente del Mart di Rovereto:  «Sarebbe assurdo un nuovo lockdown totale: significherebbe che siamo governati dalla paura. Draghi, subito dopo l’incarico ricevuto da Mattarella, aveva evocato la condizione depressiva degli italiani.

Tuttavia, le analisi sbagliate dal Comitato tecnico scientifico e le prospettive senza speranza con la proposta di un nuovo lockdown totale fatta dal consigliere Walter Ricciardi, peraltro in contrasto con ricercatori ben più esperti di lui, non consentiranno a Draghi di fare uscire gli italiani dalla depressione economica e fisica.

Per dare il segno della discontinuità Draghi deve rinnovare il Comitato tecnico scientifico e cacciare, con Speranza, Walter Ricciardi. Dopo un anno, diversamente dalla Cina, non si vede la luce», conclude Sgarbi.

Insomma, non è propriamente una partenza soft e col piede giusto per il nuovo governo guidato da Mario Draghi, che malgrado le critiche di molti sulla gestione della crisi sanitaria (e le inchieste sull'assenza di un piano di prevenzione pandemica), ha confermato al suo posto il titolare della salute e dunque i suoi più stretti consiglieri.

Così, il primo giorno del governo è stato caratterizzato dalle scintille politiche, con la Lega, ora in maggioranza, che ha rilanciato le sue accuse chiedendo di fatto la rimozione di Speranza (già definito «insufficiente» da Matteo Salvini, sabato, giorno del giuramento dei nuovi ministri).

A gettare benzina sul fuoco, irritando non poco i "parner" di governo e molti presidenti di Regione è stato, ieri, anche il consulente numero uno di Speranza per la crisi covid, l'igienista ed esperto di sanità pubblica Walter Ricciardi, già presidente dell'Istituto superiore di sanità e rappresentante del'litalia nel consiglio dell'Organizzazione mondiale delal sanità. Ieri Ricciardi ha rilanciato, con interviste che seguivano vari altri interventi analoghi sui media nei giorni scorsi, la richiesta sia di tenere chiuso lo sci sia di far scattare in tutta Italia un lockdown totale, chiusura delle scuole compresa, perché il quadro epidemico è troppo preoccupante per continuare con la gestione.

Nei mesi scorsi Ricciardi aveva chiesto, alternativamente, lockdown totali o limitati alle grandi città. In diverse occasioni, durante le sue frequenti apparizioni televisive, il consulente del ministro si è lamentato perché il governo non ascoltava questi consigli, malgrado Speranza li sostenesse in pieno.

L'Anef: ci sentiamo presi in giro

Per l'Anef, l'Associazione nazionale esercenti funiviari, «dopo il 3 dicembre, il 7 gennaio, il 18 gennaio e il 15 febbraio, adesso la proroga al 5 marzo. Ormai la stagione è saltata, ci sentiamo presi in giro di fronte a tutto quello che abbiamo speso per l'apertura di domani, in vista della quale abbiamo assunto altro personale.

I ristori siano immediati, altrimenti il comparto va in fallimento. Siamo il settore più penalizzato: da 12 mesi senza un euro di incasso ma con spese e stipendi da pagare. La cassa integrazione è arrivata a dicembre, da luglio lavoravamo per preparare l'inverno».

Questo scenario domenicale con l'uno-due di Ricciarid e Speranza sulle chiusure, ha scatenato molte reazioni politiche.

Salvini: basta seminare paura

Fra le prime, quella di Salvini, che ha dichiarato a caldo: «Non ho parole. Non se ne può più di "esperti" che parlano ai giornali, seminando paure e insicurezze, fregandosene di tutto e tutti. Confidiamo che con Draghi la situazione torni alla normalità». Salvini 

Duro anche il commento del presidente ligure Giovanni Toti, prima sul consulente ministeriale:  «Tutte le domeniche ci svegliano e troviamo Ricciardi che dice che le Regioni non capiscono niente, che il ministro non capisce niente, che l’Italia non capisce niente e che, è bravo solamente lui. Francamente mi sono un po' stufato di vedere persone che pontificano sul lavoro degli altri e propugnano soluzioni per un Paese allo stremo».

Toti: questi tecnici vivono lontani dal mondo reale

Poi, sulla questione sci: «Ci risiamo! Il Cts a 24 ore dalla riapertura degli impianti sciistici rimette tutto in discussione. Mi sa che questi tecnici vivono lontani dal mondo reale. Le società di gestione delle attività sciistiche hanno già assunto personale e organizzato l’apertura. Questo modus operandi mette in discussione la credibilità del Paese e delle sue istituzioni, che il giorno prima dicono una cosa e il giorno dopo ne fanno un’altra. Basta incertezze! I cittadini si sentono presi in giro.

Si abbia il coraggio di decidere, di prendersi responsabilità e di conciliare una voltè intea per tutte il sacrosanto diritto alla salute con quello al lavoro. Serve subito un cambio di marcia e ci auguriamo che il Presidente Draghi dia un segnale in questa direzione, glielo abbiamo chiesto e glielo ribadiamo oggi con grande preoccupazione. Gli italiani sono stanchi!».

Bonaccini: è intollerabile, ora si cambi registro

Critiche anche dal presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini (Pd), che guida anche la Conferenza delle Regioni: «C’è molta rabbia. Non nel merito, non siamo scienziati e al primo posto viene la tutela della salute. Quello che è accaduto spero sia un’ultima volta perchè non è più tollerabile.  La settimana scorsa - ha continuato Bomaccini - il comitato tecnico-scientifico ha dato il via libera alla riapertura degli impianti per le regioni in zona gialla. Abbiamo lavorato come regioni, insieme ai gestori degli impianti e agli enti locali, per riaprire le piste da sci con regole ancora più stringenti. Solo pochi giorni fa noi presidenti - ha proseguito - abbiamo detto che non volevamo la riapertura dello spostamento tra regioni nemmeno in zona gialla. Ci sono gestori e imprenditori che hanno lavorato per rimettere a posto le piste, per assumere personale, con prenotazioni».

Per Bonaccini apprenderlo «poche ore prima che riaprano le piste, comporta che oltre al danno c’è la beffa. Nel merito non ci permettiamo di giudicare - ha sottolineato - perchè è giusto tutelare la salute e se ci sono nuovi rischi è bene prendere provvedimenti, ma non si può arrivare poche ore prima dalla riapertura perchè è inaccettabile».
«Dico - ha evidenziato il governatore - anche agli esperti: un pò meno interviste e discutiamo di più tra di noi e nei luoghi dove bisogna discutere e poi la politica prende le decisioni».

Dal mondo degli operatori si fa notare che otlre ai ristori dei mancati ricavi servono risarcimenti per quanto investito inutilmente in personale e in sicurezza, anche perché molti rinunceranno a riprepararsi per il 5 marzo: non si fidano più di date annunciate e che poi potrebbero sparire in poche ore.

Inoltre, si fa notare il peso dell'indotto, tutte le atrtività che ruotano attorno al turismo invernale e che a loro volta hanno bisogno dei ristori.

Infine, si sottolinea da più parti, fra gli operaturi turistici, che non si può andare avanti solo sperando nei ristori più o meno rapidi e parziali, perché si tratta comunque di somme a carico della fiscalità generale, quindi con le chiusure se da un lato non si genera Pil, dall'altro si erode la finanza pubblica.

Zaia: ristori ma anche indennizzi

«Ora non si può più parlare soltanto di ristori. In questo caso ci vorranno degli indennizzi. Dei riconoscimenti per il danno subito», dice il presidente veneto Luca Zaia. Dietro alla montagna invernale «ci sono sì gli impianti di risalita, i grossi operatori. Ma c’è anche una nuvola densa di piccole attività, dalla ristorazione ai maestri di sci, che non è codificata ma è imponente. Ci sono gli stagionali... Il danno è colossale».

Al di là dei ristori serve un risarcimento «perchè in questo caso, nella prospettiva di riaprire a breve, gli operatori avevano già battuto le piste e messo le indicazioni, bar, ristoranti e rifugi avevano fatto magazzino, gli stagionali si erano diretti in montagna... A tutte queste persone dici di no il giorno prima? Dopo investimenti particolarmente gravosi, dopo una stagione come quella che è stata? Non ci sono parole per descrivere la rabbia, motivata, dei nostri operatori».

È una decina di giorni, aggiunge Zaia, che «assistiamo a un crescendo di dichiarazioni da parte di tecnici e scienziati sull’apertura o meno degli impianti. Un maggior anticipo ci poteva stare... Io avevo fatto l’ordinanza proprio per tener fuori il Carnevale, ma il punto è un altro: mi rifiuto di pensare che occorrano i dati del venerdì per decidere che bisogna tenere chiuso il lunedì. Lo dico proprio per il rispetto che porto agli scienziati».

La salute «viene prima di qualunque altra cosa, dubbi non ce ne sono. E mi rendo conto che per la politica le ultime settimane sono state difficili. Ma è pur vero che gli operatori avevano letto un Dpcm che consentiva di riaprire il 15 febbraio».


IL FATTO E LE ALTRE REAZIONI

L’inizio della stagione sciistica slitta ancora, stavolta al 5 marzo, provocando l’ira delle Regioni, degli operatori del settore e della Lega. L’ennesimo stop al turismo invernale, a poche ore dalla programmata riattivazione degli impianti, rischia di diventare la prima grana del governo Draghi. E all’orizzonte delle future misure anti-Covid, su cui pesa l’incognita delle varianti del virus, emerge anche il parere del consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi, per il quale è «urgente cambiare subito la strategia di contrasto al SarsCov2: è necessario un lockdown totale in tutta Italia immediato, che preveda anche la chiusura delle scuole facendo salve le attività essenziali, ma di durata limitata. Ne parlerò col ministro Speranza questa settimana», annuncia.

Parole che, assieme all’ordinanza firmata in serata dal ministro della Salute che vieta lo svolgimento delle attività sciistiche amatoriali fino al 5 marzo (data di scadenza dell’ultimo Dpcm), scatenano la reazione del Carroccio, deciso a chiedere «un cambio di squadra a livello tecnico, aldilà di Speranza», al dicastero della Salute. «Non si può - dicono i capigruppo leghisti, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari - continuare con il ‘metodo Contè, annuncio la domenica e chiusura il lunedì, ad opera del trio Ricciardi-Arcuri-Speranza.

Serve un cambio di passo e rispetto per la gente di montagna e per chi lavora, oltre a rimborsi veri e immediati».

Ad insorgere sono anche i gestori degli impianti, insieme ai maestri di sci e a tutti gli operatori della montagna, che parlano di «stagione ormai saltata nonostante quanto investito per l’apertura» e chiedono ristori.

La scintilla dello scontro è scattata dopo una giornata di appelli alla prudenza arrivati innanzitutto dal Comitato tecnico scientifico che ha risposto alla richiesta di Speranza di «rivalutare la sussistenza dei presupposti per la riapertura» dello sci. Nel fornire il suo parere - e «rimandando al decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose» - il Cts aveva spiegato che alla luce delle «mutate condizioni epidemiologiche» dovute «alla diffusa circolazione delle varianti virali» del virus, «allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni» per la riapertura. Una linea condivisa dallo stesso Ricciardi, a cui poi ha replicato il segretario della Lega: «Prima di terrorizzare gli italiani, fai il favore di parlarne con il presidente del Consiglio», ha detto Salvini rivolgendosi al consulente del ministero della Salute. La cui linea, però, viene recepita in serata dall’ordinanza Speranza.

La chiusura degli impianti non è quello che Lega e Governatori si aspettavano, ma il colpo viene incassato con l’assicurazione che la montagna verrà risarcita: il provvedimento, infatti, impegna «a compensare al più presto gli operatori del settore con adeguati ristori». Gli stessi ministri leghisti Giorgetti e Garavaglia sono intervenuti per ribadire il concetto e alzare la posta: «non è detto nemmeno che bastino i 4,5 miliardi richiesti quando la stagione non era ancora compromessa, probabilmente ne serviranno di più», hanno sottolineato.

«Allibiti» i governatori, in particolare per il metodo e la tempistica dell’annuncio di chiusura. Il presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, ha espresso «stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza per domani».

E il valdostano, Erik Lavevaz, aggiunge: «una chiusura comunicata alle 19 della vigilia dell’apertura, prevista da settimane, dopo mesi di lavoro su protocolli, assunzioni, preparazione delle società, è sinceramente inconcepibile».

Per il governatore lombardo, Attilio Fontana, «è un colpo gravissimo al settore» e per il friulano Massimiliano Fedriga «l’indecisione del Cts penalizza imprese e lavoratori».

Anche per il veneto Zaia «la decisione arriva troppo tardi». Il presidente della Liguria - dove alcuni ristoranti sono rimasti aperti in occasione di San Valentino nonostante l’entrata in vigore dell’ordinanza sulla fascia arancione - ha aggiunto: «La gente non può scoprire domenica sera che cosa potrà fare lunedì mattina, non è possibile che tutte le volte che l’Italia prende una decisione la revoca a 24 ore di distanza».

Stessi toni dal Coordinatore della Commissione Turismo della Conferenza delle Regioni, Daniele D’Amario, che ha commentato: «è una mazzata».

Ora, con l’ultimo dpcm in scadenza proprio il 5 marzo, la partita si giocherà proprio sulla linea da adottare in merito alle nuove misure anti-Covid, forse anche prima di quella data.

Da un lato c’è la linea del consulente alla Salute, Walter Ricciardi, per il quale è «necessario adottare una drastica strategia no-Covid come hanno fatto i Paesi dell’Asia o Germania e Stati Uniti», attuando «un lockdown totale immediato ma di durata limitata», magari aspettando di poter imprimere la giusta spinta alla campagna vaccinale.

Dall’altro chi annuncia un cambio di passo in direzione opposta, a partire da una nuova squadra invocata da una parte consistente della stessa maggioranza di Governo.

 

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