Da Alba Chiara a Eleonora Perraro: una lunga scia di sangue

TRENTO - Sei femminicidi in otto giorni, in Italia. Quello di Deborah Saltori, mamma di quattro figli, ieri a Cortesano, è solo l'ultimo di una lunga serie. Ed il Trentino non è immune.

Quasi sempre gli assassini sono persone vicine alle vittime: ex fidanzati o mariti, che spesso coinvolgono anche le vite e i destini di bambini e minori. In pratica, quasi tutti gli omicidi che si registrano in Trentino sono assassinii di uomini che ammazzano donne.

Anche qui da noi è una lunga scia di sangue che costella le cronache. Ne abbiamo contati una quindicina negli ultimi 20 anni. Ecco quelli più recenti.

Il 29 dicembre 2020 a Frassilongo, Agitu Gudeta, la rifugiata etiope di 42 anni diventata simbolo di integrazione per il successo della sua azienda agricola 'bio' la 'Capra Felice' - undici ettari e ottanta capre autoctone nella Valle dei Mocheni, viene uccisa da Suleiman Adams, un ghanese di 32 anni che pascolava le capre della donna. All'origine del gesto – sembra – questioni economiche.

La notte tra il 4 e il 5 settembre del 2019, Eleonora Perraro viene uccisa nei pressi del locale Sesto Grado di Nago: per il delitto è imputato l'ex marito Marco Manfrini.

E’ del 31 luglio 2017 l'omicidio di Alba Chiara Baroni, 20 anni, uccisa a colpi di pistola dal fidanzato Mattia Stanga, che poi si toglie la vita.

Il 12 marzo 2015, Carmela Morlino, a Zivignago di Pergine, viene uccisa dal marito, Marco Quarta, che la colpisce con 15 coltellate nella loro abitazione di Zivignago. I bambini si salvano per miracolo; Quarta fuggirà in auto, verrà catturato dopo 24 ore.

Il 9 agosto 2013 a Pinzolo, la 31enne estetista marchigiana Lucia Bellucci viene uccisa e chiusa nel bagagliaio dell’auto da Vittorio Ciccolini, 45enne avvocato veronese, dopo dopo una cena in un ristorante di Spiazzo. Lui confesserà il delitto.

«Una tragedia che si poteva evitare» dice sull'Adige di oggi Michela Marzano, professoressa universitaria, filosofa di livello internazionale tra le più attente studiose italiane delle fragilità umane. Della lotta a difesa della donna ha fatto una battaglia di vita.

A Cortesano, dice intervistata da Paolo Micheletto,  «Abbiamo a che fare con un caso specifico e particolare: se l’uomo era agli arresti domiciliari, vuol dire che le forze dell’ordine e il tribunale erano stati allertati ed erano a conoscenza della situazione. Questo femminicidio si poteva evitare. Quella donna si poteva salvare».

 

 

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