Le vecchie casse rurali e il ballo sul Titanic

La lettera al direttore

Le vecchie casse rurali
e il ballo sul Titanic

Caro Direttore, sono cooperatore nella produzione, nel consumo e nel credito. Ho avuto anche la possibilità di essere consigliere d’amministrazione per due mandati in una di queste.
Le scrivo a riguardo dell’ormai nota assemblea tenutasi a Mezzocorona per approvare o meno la fusione fra Mezzocorona/Lavis Valle di Cembra e Trento.
Pur non essendo la mia Cassa Rurale, quello che è successo in quella sede deve far preoccupare tutti quelli che del mondo cooperativo fanno parte. La forzatura, se non dei regolamenti (piegati appositamente allo scopo di andare in una determinata direzione), del buon senso cooperativo e la spinta di un’assemblea ad andare spaccata ad una votazione stanno nei fatti e sono sotto gli occhi di tutti.

Ricordo un vecchio presidente che non voleva portare a votazione in Consiglio un ordine del giorno finché non veniva capito, assimilato e votato all’unanimità. I vecchi presidenti sono morti, ma agli attuali capitani di ventura che parlano di necessità di crescere, di implementare, di avere una nuova visione, chiedo: contro quale iceberg volete schiantare il Titanic bello e lucente del credito trentino?
Che senso ha voler fare i Golia ed imbarcarsi in un’avventura nazionale, entrare nella complicata operazione di salvataggio Carige, quando si è comunque dei Davide?
Perché il socio rurale che è rimasto lì con la sua mano alzata in assemblea questo non lo capisce e lo trova distante dai suoi peculiari problemi di territorio.
E poi guarda al vicino esempio dei cugini altoatesini che hanno preso un’altra direzione e pensa che qualcosa di sbagliato nel modo di pensare dei capitani del Titanic c’è.
Allora non restano che due cose da fare: o cambiare i capitani o scendere dalla nave prima che l’iceberg arrivi.

Paolo Malpaga

 


 

Quelle casse rurali non ci sono più

Mica facile, rispondere alla sua lettera. Ci provo, come sempre. I vecchi presidenti sono davvero morti: da ogni punto di vista. Perché sapevano non solo creare consenso, ma anche - se mi passa questa definizione - condividerlo: partendo sempre dal basso e senza lasciare mai indietro un singolo socio, un singolo correntista. Però va detto che quelle rurali, quel piccolo mondo antico, quelle banche e quell’economia non ci sono più. Tutto scomparso insieme ai presidenti. Malgrado le apparenze, nostalgia non fa rima con economia. Però questo non vuol dire che non si possa dialogare, costruendo un percorso fatto di trasparenza e condivisione. Quell’assemblea spaccata è una ferita che non si rimarginerà. Una ferita che si doveva curare prima che si aprisse (stavo scrivendo prima che marcisse, perché è davvero rimasta purulenta). La storia di Golia e di Davide, al di là delle ambizioni dei singoli, è altra storia ancora. In un tempo come questo, nel quale tutto cambia, è giusto chiedersi qualche sia e quale debba essere in prospettiva il ruolo di una banca ed è giusto anche pensare di allargarsi, di cambiare, di cercare nuovo vento. Ma allora qualcuno deve alzarsi e dire la cosa più semplice: che non ci sono più le rurali (o almeno le rurali che ricordiamo lei ed io).

E che la Casse ora sono istituti come gli altri. Non è uno scandalo. È un segno di tempi e un’imposizione del mercato. L’iceberg è invece nell’acqua da tempo e il Titanic, in questo caso, può persino passare alla storia per essere riuscito ad evitarlo, questa volta. Ma non si può pensare di salvare la storia insieme al futuro. Bisogna davvero avere il coraggio di dire che in questo nuovo mondo ci vogliono strumenti nuovi e diversi. Perché la competizione non è quella dei nostri ricordi. Gli altoatesini, è vero, hanno fatto scelte molto diverse, ma è presto per esprimere un giudizio degno di questo nome, perché il mondo sta profondamente cambiando anche nel vicino Alto Adige e non è detto che la chiusura in un pur dorato fortino sia sempre l’unica risposta possibile. Vedo molti Davide in giro, infine. E alcuni pensano d’essere Golia. In passaggi come questi servono umiltà e chiarezza. Infine, le dico una cosa che in quest’epoca non si può dire: un tempo, in ogni contesto (dai governi ai partiti, dalle assemblee di condominio a quelle di istituto), le minoranze, quando perdevano, accettavano le decisioni delle maggioranze, che anzi continuavano, dal giorno dopo, a sostenere. Ora chi vince non sa includere e chi perde non accetta nemmeno l’idea di poter restare (nel governo, nel partito, nell’assemblea condominiale, nella Cassa rurale...).

a.faustini@ladige.it

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