Non contiamo più nulla: povera Italia

La lettera al direttore

Non contiamo più nulla: povera Italia

Caro direttore, come si potrebbe definirla, se non povera Italia, visto che è finita spinta e trattenuta in fondo al baratro, in un fallimento totale e vergognoso, che la sua natura e la sua storia non avrebbero in alcun modo potuto presagire e meritare. Oltre che a casa nostra, in Europa ed ora anche nel mondo ci siamo ridotti ad essere pressoché un “nulla”. Preda di una opprimente ed assurda tirannia burocratica e vittima di una pletora di partitoni, partítini, correnti, movimenti e liste varie, trattenuta, ed imposta proprio da chi dovrebbe liberarcene, il popolo italiano è stato progressivamente ridotto ad una massa di zombi, obbligata da una classe di pseudopolitici, impreparati e senza carattere né scrupoli, alla coatta rinuncia a sperare in un futuro migliore.

Come potrebbero andare diversamente le cose visto che le istituzioni del nostro Stato, anche e soprattutto ai suoi vertici, parlano di democrazia negando poi al popolo i suoi sacrosanti diritti; dicono di voler produrre cambiamenti mentre fanno mille acrobazie perché nulla cambi, professano amore per il Paese e per la giustizia e poi mostrano uno sfacciato interessamento per la conservazione dei seggi e dei relativi privilegi.
Si predicano il progresso, l’equità e l’uguaglianza mentre vengono dedicate volontà, energia e mezzi al solo più che evidente scopo di mantenere e piuttosto magari accrescere interessi personali.

Il lavoro viene esibito come un vessillo e il vero scopo e traguardo si mantengono ed inventano inghippi (vecchi e nuovi) per ottenere di incrementare fonti nuove e vecchie, si creano pastoie e cavilli che poi ne impediscono la creazione e lo sviluppo. Ritornando, in conclusione, alla classe politica e alle istituzioni (partendo dai loro vertici) abbiamo un Capo dello Stato che, dimenticando troppo spesso di essere il primo e massimo responsabile della situazione, invece di operare per meglio quale tutore e massimo controllore del rispetto della Costituzione, della legiferazione, della giustizia e delle forze armate, sembra accontentarsi di “stare alla finestra” aspettando che si produca da solo un qualche cosa che giustifichi il suo determinante intervento. Arrivato alla mia venerabile età, accettando il saggio consiglio di famigliari ed amici, potrei lavarmene le mani e ignorare tutto, limitandomi a raggiungere, tranquillo ed indifferente, il sempre più vicino “traguardo”; questo, però, mi imporrebbe di dover negare tutto ciò che le mie esperienze di vita mi hanno proposto ed inculcato, arricchendomi molto, ma, francamente, non ne sono proprio capace.

Giovanni Calcagno


 

Non c'è un'età per smettere di indignarsi

Da una parte fa bene a non farsi travolgere dall’indifferenza. Non c’è un’età per smettere di indignarsi, di occuparsi - e preoccuparsi - delle sorti del Paese, della società, di ciò che più ci (e le) sta a cuore. Dall’altra, mi stupisce un po’ il suo  crescente pessimismo. Lei che ha visto e vissuto stagioni difficili e che ha visto e vissuto stagioni di rinascita, di ricostruzione, dovrebbe sapere bene che l’Italia non è povera: è ricca. Di umanità, di persone di valore, di capacità di riprendersi, senza citare l’arte, la storia, la cultura, quel patrimonio straordinario che ogni giorno ci ricorda, in ogni angolo di ogni città, chi siamo e da dove veniamo. Le confesso che io - che pur per mestiere mi ritrovo a seguire le gesta di quelli che non sono esattamente statisti - non vedo tutto lo sfacelo di cui parla lei.

Certo, non siamo esattamente lo Stato più importante (e più ascoltato) del mondo, ma restiamo un Paese straordinario per mille ragioni. Non c’è infatti solo la politica, c’è un Paese che riesce ancora ad affermarsi e a brillare in diversi campi. E di quel Paese noi tutti facciamo parte (persino i politici che non le sono simpatici). Sul capo dello Stato mi tocca contraddirla: aveva il dovere, Costituzione alla mano, di verificare se vi fosse, all’interno del Parlamento, una maggioranza alternativa rispetto a quella - già strana e bizzarra - che è venuta meno all’improvviso.

Trovare - dopo le varie consultazioni - un’altra maggioranza e affidarle il Paese era un suo dovere e non è esattamente “stare alla finestra”. Fra i doveri del capo dello Stato c’è anche quello di rispettare - salvo che non escano appunto dall’alveo della Costituzione - le prerogative del governo. E anche questo non significa stare alla finestra. Anzi. Il “vigile” continua a vigilare: sull’azione del governo, sulle leggi che fuoriescono dal Parlamento e su molto altro. Mi creda, poi: le istituzioni sono piene anche di persone di qualità, persino fra i burocrati che lei tanto critica e che considera financo dei tiranni. È vero: qualche parlamentare s’è affezionato molto al seggio, ma è così da sempre.
Del resto, molte delle cose che lei ha scritto sono state scritte da tante altre persone per secoli (in alcuni casi vanamente, mi verrebbe da dire, visto che ancora siamo qui a parlare delle stesse cose).

Poi, diciamocelo: è ridicolo pensare che gran parte dei problemi del Paese si risolveranno tagliando un  po’ di parlamentari e risparmiando sui loro stipendi. Tagliando con la scure anziché col bisturi si rischia sempre di tagliare la democrazia, fra l’altro. Non solo: si corre il rischio di lasciare fuori dal Parlamento chi rappresenta sensibilità che non vanno magari di moda, ma che meritano ascolto, anche se sono il pensiero di una esigua minoranza. Al traguardo ci arriveremo tutti, prima o poi. Ma con un po’ di energia positiva - come mi sono permesso di dirle anche in occasione della festa alla quale la sua famiglia mi ha gentilmente invitato - sarà più facile tagliarlo.

a.faustini@ladige.it

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