Almeno ho potuto salutare il mio papà

La lettera al direttore

Caro papà, almeno ho potuto salutarti

Caro direttore, mercoledì mattina è morto mio padre. La morte di un proprio caro non è mai semplice, lascia profonde cicatrici perché è oggettiva, non lascia interpretazioni, non ci sono né se né ma. Lascia l’amaro in bocca, di non aver fatto abbastanza, di non aver detto un «ti voglio bene», un «grazie per come mi hai cresciuto» in più.
Si vive quasi nell’illusione di un’immortalità perché, come purtroppo quando ci sono gli incidenti, si pensa che a noi non succederà. Invece lei è li come un sassolino nella scarpa, che senti, che sai che c’è ma fai finta di niente.
Ora ha bussato anche alla mia porta e come tanti non ero preparato, ma sono stato fortunato perché, in questo assurdo periodo, ho comunque potuto dargli l’ultimo saluto, l’ho stretto a me, gli ho tenuto la mano per tanto tempo, l’ho coccolato pensando a quando da piccolo mi abbracciava stretto stretto questo “grande omone” e poi l’ho lasciato andare. L’ho ringraziato e gli ho detto che poteva finalmente riposare.
Ho poi riflettuto su quanto sono stato fortunato perché in questo periodo di Coronavirus tante persone non hanno potuto salutare i loro cari, non hanno potuto dargli un ultimo abbraccio e penso sia straziante. Il coronavirus ha tolto pure la dignità alla morte, non solo per chi ci lascia, ma specialmente per chi resta e perde così un pezzetto di se stesso senza poter dire o fare niente. La morte è sempre stata temuta, riverita, consacrata ma mai lasciata, come ora, a se stessa. Potremmo quasi ironicamente dire che pure la morte è morta.
Detto questo, in questi giorni di lutto, il mio pensiero e abbraccio va a tutti coloro che hanno “visto” i loro cari lasciare questa esistenza senza poter far nulla. Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato il loro supporto in questo difficile momento di dolore.

Luca Sterni

 

Le tu parole ci fanno molto pensare

Le tue parole fanno molto pensare caro Luca. Perché restituiscono dignità alla morte, poesia ai piccoli gesti che l’accompagnano, senso agli ultimi giorni. Hai ragione, in un certo senso è morta anche la morte, con i suoi riti, le sue liturgie, le sue strette di mano, i suoi abbracci. Tu hai avuto il privilegio di poter accompagnare tuo padre in giornate in cui molte persone non hanno nemmeno avuto la possibilità - e non potrebbe essere altrimenti, sia chiaro - di entrare in ospedale, di portare e ricevere calore. In questo tempo sospeso facciamo fatica a fare i conti con la vita, che è così cambiata, ma non sappiamo proprio come fare i conti con la morte, che in un certo senso è stata svuotata. Il coronavirus non ci porta via solo una generazione, un pezzo di memoria, tante parole che non abbiamo detto e forse nemmeno saputo ascoltare. Ci porta appunto via il senso del distacco, gli sguardi, gli abbracci, la vicinanza di amici che non sapevamo di avere, le frasi che anche tu non hai potuto pronunciare, lasciandoci spesso solo l’amara sensazione - che accompagna un po’ tutti noi in momenti come questi - di non aver fatto o detto abbastanza. Ma non è così. Perché nel bagaglio dei ricordi ognuno di noi ha la tracce indelebili di chi ha vissuto con noi, di chi in molte stagioni - magari lontani, ma non per questo meno nitide - per noi ha addirittura vissuto. Ti siamo vicini caro Luca. E siamo vicini alle tante persone che in questi giorni perdono un pezzo della loro vita, un pezzo della nostra società. Donne e uomini che diventano numeri,ma che sono invece volti, storie, racconti che dobbiamo saper tener vivi. Per loro. Per noi. Per chi verrà dopo di noi.

lettere@ladige.it

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