La statua di Montanelli e quella alla famiglia

La lettera al giornale

La statua di Montanelli e quella alla famiglia

Io questa storia che vede al centro la statua milanese di Montanelli non l’ho capita molto. Uomo di destra, giovane fascista, storico e narratore coltissimo, maschilista, giornalista libero, spesso controcorrente, colonialista, molto probabilmente pedofilo. Credo sia tutto vero. Non capisco però, in generale, e ben prima di questa polemica, come si possa dedicare una statua a qualcuno. Sono convinto che l’idea di celebrare una persona si fondi su un’errata percezione dell’umanità. Il cristianesimo non c’entra, ma credo che la cristianità abbia irrimediabilmente inquinato la cultura occidentale con l’idea di santità, di purezza assoluta, da una parte diffondendo la cultura dell’agiografia, e dall’altra costringendo - per secoli - all’inibizione delle pulsioni e ai proibizionismi vari. Insomma, credo che nessun essere umano si meriti una statua, perché credo che nessuno mai possa essere considerato assolutamente buono o assolutamente cattivo.

Così come chi riceve un premio Nobel non ha sempre ragione a prescindere. Detto questo, non mi infastidisce affatto una statua di Indro Montanelli con una macchina da scrivere, a patto che serva a celebrare lo storico prolifico e il direttore di un giornale che non si è piegato ai diktat del suo editore. Certo, mi avrebbe disturbato molto una statua di Montanelli in abiti da colonialista. Così come mi disturberebbe molto una statua di Archiloco, di Pasolini o dei mille altri intellettuali del passato circondati da quei “loro” giovanotti minorenni, con i quali erano soliti scambiarsi affetto. Non giudico quella parte della loro identità, ma non la celebro. Per il momento, mi disturba molto di più il Monumento alla Famiglia trentina” in piazza Dante a Trento: una rappresentazione stereotipata e stucchevole della famiglia “tradizionale”.

Alberto Nicòtina

Ma questa è una lunga storia

Essendo lei un giovane laureato, non può giustamente conoscere la lunga storia (polemiche incluse) che accompagnò la nascita del monumento alla famiglia trentina. Le dico però che fu un’iniziativa artistica della Galleria civica e come tale va giudicata o criticata. Le critiche non solo all’opera (poi realizzata dall’artista inglese Gillian Wearing), ma a tutto il progetto e a quell’idea di famiglia, hanno tenuto banco comunque per qualche anno. Su Montanelli le dico che nella storia di ognuno, effettivamente, ci sono - magari accanto a una luce magica - molte ombre. Interessante il suo parallelismo con i santi e col ruolo del cristianesimo, anche se i monumenti, come sa, esistono un po’ in tutte le culture, a prescindere dalle religioni che le caratterizzano.

Io, per esempio, continuo a considerare Stonehenge, con i misteri che si porta dietro da circa 5000 anni, il monumento più incredibile che ci sia. Ma poco conta il mio parere. Montanelli ha un pregio che è anche un difetto: è sempre stato coerente e non ha mai rinnegato il proprio passato. Quello di Milano è un monumento a un pezzo di storia del giornalismo e non certo a una stagione - quella del colonialismo - che di ombre è a dir poco carica. C’è comunque un solo modo per evitare che di qui a qualche mese si abbattano decine e decine di statue (e pezzi di cultura e di storia che vanno protetti e tutelati): contestualizzarle. Con una targa per così dire aggiornabile.

Perché negli anni cambiano le culture, i modi di pensare, la morale di un Paese. Dunque è giusto che una targa spieghi perché si è scelto, in un determinato momento, di fare un monumento, senza negare aspetti importanti (nel bene e nel male) della vita di chi è poi per così dire diventato... un monumento. Processo che peraltro arriva ben prima che uno diventi un oggetto di bronzo. Perché Montanelli - di cui un po’ tutti conoscevano (anzi: conoscevamo) il passato - è stato, come molti altri, un monumento da vivo.

Nella vicina Bolzano s’è fatto uno sforzo per contestualizzare il Duce a cavallo e il monumento alla vittoria. Due esempi interessanti, anche se la “spiegazione” non è esattamente chiara agli occhi di chi non conosce qualche pezzo della storia che ha portato - in un’epoca specifica, che non si può cancellare - alla nascita di quei due monumenti. In fondo è più semplice spiegare e contestualizzare che abbattere. Diversamente non esisterebbe nulla, nemmeno i palazzi. Perché qualcuno, per ragioni diverse, avrebbe ogni volta abbattuto l’opera di chi ha avuto l’ardire di arrivare - con idee molto diverse - prima di lui. E l’aria che gira in questo momento nel mondo è questa: sfasciamo tutto. Senza capire che la memoria - che non va mai confusa col culto del passato - è uno dei pochi antidoti anche rispetto al razzismo.

lettere@ladige.it

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