Le potenzialità dei giovani e la fiducia che manca
La lettera al giornale
Le potenzialità dei giovani e la fiducia che manca
Gentile direttore, ho letto su Vita Trentina un editoriale di Franco De Battaglia intitolato «La cooperazione trentina non deve, e non può, dividersi». In mezzo ad altri ragionamenti e considerazioni mi ha colpito un passaggio che parla dei giovani, e dice: «I giovani, certo, sono il futuro ma i giovani, prima di ambire alla stanza dei bottoni, come sempre è accaduto, possono e devono dimostrare con vigore ciò che sanno fare; in altre parole, non essere cooptati, ma diventare protagonisti Sono bravissimi i giovani, ma esserlo non è una qualifica. Ed oggi occorre riprendere un corso di responsabilità per prepararsi a gestioni e impegni».
Qui nelle nostre valli trentine noi abbiamo tanti giovani che hanno investito molti anni (e risorse) a lavorare duro sui libri, a studiare nelle nostre università e all'estero, e che si sono laureati e masterizzati, moltissimi a pieni voti e "cum laude". Questi giovani, perché qualcuno investa su di loro considerandoli delle risorse, devono sapere che davanti a loro c'è, bene che vada, un altro periodo di "gavetta" di najosa memoria, e poi un "corso" di responsabilità: quanto durerà? Altri cinque anni? Dieci?
Poi devono «dimostrare ciò che sanno fare» (il che è difficile se nessuno glielo fa fare
). In ogni caso quando avranno finito tutto questo periodo non saranno più giovani.
Certo qui, come dice De Battaglia, « è sempre accaduto così», ma il mondo intanto è cambiato. All'estero, ma anche in Italia in alcuni contesti, le giovani brillanti risorse se le strappano dalle mani, le pagano bene, affidano loro progetti e responsabilità, da subito. Qui andiamo avanti alla vecchia. Poi ci stupiamo del fatto che i giovani se ne vanno, verso luoghi dove c'è qualcuno che ha fiducia in loro. Io credo sia urgente cambiare mentalità e investire, ma davvero e con convinzione, su un cambio di strategia basata su quello che diceva Steve Jobs: «Non ha senso assumere persone intelligenti e poi dire loro cosa fare. Noi assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare». E i giovani per questo sono una miniera.
Michele Sartori
Sono un po' in imbarazzo, perché parliamo di una lettera uscita su un altro giornale e firmata da un collega che stimo. Però un paio di cose, caro Michele, le voglio dire. La prima: condivido l'idea che la cooperazione non possa e non debba dividersi.
Alcune delle cose che ho letto e sentito in questi giorni mi hanno ricordato la sinistra degli ultimi tempi: gli sconfitti (alle elezioni, alle primarie, alle assemblee condominiali...), anziché lavorare per il bene del partito, hanno quasi sempre preferito cercare di distruggerlo, il partito, andandosene e fondando un partitino: nulla di più sbagliato, di più esiziale. La democrazia ha delle regole: chi vince governa, chi perde fa opposizione interna e controlla chi governa, ma poi si rema tutti insieme in un'unica direzione.
La seconda: i giovani, in questo Paese, sono invecchiati restando in panchina. Per uno che riesce ad emergere, ce ne sono cento che non toccano palla e che se ne vanno altrove. Il nostro è un Paese per vecchi, in cui ognuno di noi stenta a fare un passo indietro e a lasciare spazio non solo alle nuove generazioni, ma anche alle nuove idee, alle nuove energie e, soprattutto, allo spirito innovativo che è necessario e al quale continuiamo colpevolmente a rinunciare.
Citiamo anche troppo Jobs, ma è così che dovrebbe funzionare un mondo che continua a cambiare: con l'entusiasmo contagioso di chi può dirci cosa fare. Senza citare casi personali o vicende che conosco molto da vicino, aggiungo che tutti i giovani italiani che conosco e che hanno scelto di lasciare l'Italia hanno stipendi, carriere e riconoscimenti che in Italia non avrebbero nemmeno potuto sognare. Stiamo perdendo il nostro futuro e anche il nostro presente. Lasciamo scappare una generazione che potrebbe impegnarsi in ogni ambito e che invece ha bisogno di un altrove per realizzarsi. Se si torna col pensiero alla storia delle ricostruzione del Paese, si scopre che sono stati soprattutto i giovani a far ripartire l'Italia.
Serve memoria storica, serve esperienza, ma serve anche - se non soprattutto - incoscienza, coraggio, fantasia, forza fisica e intellettuale. Molti giovani sanno già cosa fare, questa è la verità. Ma noi preferiamo lasciarli in anticamera.
a.faustini@ladige.it
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