M49, ci affascina la sua voglia di libertà

La lettera di Marco Patton sull'orso, e la risposta del Direttore Alberto Faustini

M49, ci affascina la sua voglia di libertà

Egregio direttore, volevo scriverle dell’orso M49, ben consapevole dell’ambiguità della mia posizione. Non nascondo infatti la mia soddisfazione per la cattura di M49, in quanto mi permette di ritornare a camminare in libertà nelle montagne sul Lagorai che da uomo libero frequento. Mi conforta anche sapere, pensando a chi vive le difficoltà dell’alpeggio, che gli animali non sono più in pericolo rispetto alle razzie dei grandi predatori. Aver visto sacrificate pecore, capre, vitelli, credo sia stato per loro straziante. Parliamo di animali allevati con cura, con calore umano a cui hanno affidato un nome, di appartenenza ad una comunità lavorativa che fa della agricoltura una ragione di vita. Ma poi, ed ecco la contraddizione o l’ambiguità, mi chiedo quanto sia ingiusto trattenere rinchiuso un animale in un recinto che sarà anche grande, ma che non lo sarà mai a sufficienza per animali che si sentono liberi.
Se penso alla mia vita, a quanto ho potuto girare di corsa su sentieri di mezza Europa alla ricerca del bene prezioso della libertà, se penso al desiderio di conoscere, di apprendere in movimento e se penso a quanto bene faccia alla salute l camminare, beh allora M49 stupisce nella sua capacità di riuscire a fuggire ben due volte attraversando autostrade, dal Brenta al Lagorai ai monti Lessini, al gruppo di cima D’asta e agli altipiani sul sentiero Europeo e sul sentiero della pace, tutti luoghi a me molto cari.
Mi chiedo, io che mi sentivo alle volte soffocare rinchiuso in una barberia, che quando potevo scappavo sul Calisio alla ricerca della libertà atavica nel sentirmi nomade, uomo di mondo, cosa sia veramente giusto. Allora io credo che la soluzione giusta sia rispettare il suo DNA riportandolo in Slovenia: in quel territori ampi, in quegli spazi grandi, i luoghi nei quali hanno vissuto i suoi antenati.
E se anche da lì scappasse e ritornasse in Trentino, allora anch’io debbo correre quel minimo rischio di poterlo incontrare e se capitasse allora potrò raccontare alle mie nipotine di aver incontrato l’anima di Papillon, presente in ogni essere umano.

Marco Patton

Ci fa riflettere sul valore della libertà

In un certo senso penso che in molti vivano questa ambiguità: amore per l’orso, persino una forma di rispetto e di simpatia per le sue fughe, e paura dell’orso. C’è molto di noi, in tutto questo: il desiderio di vincere sempre, ma anche la voglia di stare con i più deboli, che quasi sempre diventano anche i più simpatici. Poi c’è qualcosa di ancestrale, che abbiamo dentro, qualcosa che in un certo senso prescinde dalla realtà: perché è facile parlare dell’orso senza averlo incontrato o vivendo magari a centinaia di chilometri dai nostri boschi, mentre è molto più difficile parlare di lui avendolo come quotidiano e pericoloso compagno di viaggio in quella montagna che ha già altri mille problemi. Aggiungo una cosa che farà arrabbiare più d’uno: visto che ormai trattiamo M49 come se fosse una sorta di omaccione simpatico, tendiamo anche ad aspettare la sua versione dei fatti. Perché in fondo abbiamo sempre la metà del racconto: ci manca sempre il punto di vista di Papillon. Rispetto alle scorribande, rispetto agli incontri con le persone, rispetto alle fughe. Perché va pur detto che molti di noi, quando vanno in un bosco, un po’ lo temono e un po’ sperano di incontrarlo, di fargli una foto, magari una specie di selfie nel quale si possa vedere che noi, l’orso, lo abbiamo davvero visto da vicino. Gli aspetti emotivi si confondono con quelli razionali. Lui - a dirlo sono le azioni che hanno per così dire portato alla sua condanna - non è adatto a vivere con noi. Ma è vero che anche noi non sappiamo rispettarlo. Non conosciamo il confine delle leggi della natura. Continuiamo a pensare che ogni lembo di terra sia nostro e solo nostro, che si possa andare ovunque, magari senza essere attrezzati. E non penso solo a ciò che ci mettiamo addosso, ma anche a ciò che sappiamo degli animali che in un bosco può capitare d’incontrare. Non mi dilungo. Dico solo che nella tua lettera, caro Marco, ci sono molti dei nostri pensieri. Inclusa l’idea che presenti alla fine: non vogliamo che sia ancora fra noi, ma ci spiace saperlo “prigioniero”. Il progetto di reinserimento dell’orso è riuscito: lo dicono i dati. Ma forse siamo arrivati a un punto di non ritorno. E la prima cosa che ci viene in mente - perché ci abbiamo pensato quasi tutti - è che si potrebbe azzerare (quasi) tutto, riportando gli orsi problematici (ma non quelli buoni) da dove sono venuti. Un discorso che ne fa venire in mente altri, ma che fa tanto riflettere - come le tue parole - sul valore della libertà.

lettere@ladige.it

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