Il vaccino non è la Nutella né la Coca Cola

Da mesi mi interrogo, cerco di capire, mi sforzo di comprendere, ma sono e rimango allibito, interdetto e pure molto arrabbiato.Mesi che si parla di un vaccino o di alcuni vaccini che sono stati prodotti anche grazie a ingenti fondi pubblici e che - i dati del Regno Unito che ha deciso per un serio lockdown e un'intensa campagna vaccinale lo confermano - sembrano funzionare.Ma il problema è la produzione, prima ancora che la distribuzione, perché il vaccino viene prodotto da poche aziende in pochissimi stabilimenti.

Non riesco a capire come, di fronte alla pandemia, al collasso del sistema che abbiamo costruito in poco più di cento anni, non riusciamo a mettere in discussione uno dei paradigmi che rischia di annientarci.Il vaccino non è la Nutella, non è la Coca Cola, non lo può essere. Ma viene trattato alla stessa stregua.La politica a tutti i livelli non interviene, così come non si espongono le organizzazioni internazionali: il vaccino, sebbene (ripeto) prodotto anche con fondi pubblici, rimane di proprietà di poche, pochissime aziende che non hanno nessuna possibilità di produrre le quantità che ci servono.

E mentre i governi si affannano a trattare le quantità e il prezzo delle dosi con le case farmaceutiche, le varianti del Covid aumentano e l'efficacia dei vaccini viene messa in discussione. La politica dovrebbe fare le leggi e definire le regole del gioco civile e cambiarle ove necessario.

Trovo assurdo che in tempi di pandemia valgano le stessi leggi di prima per quanto riguarda la produzione e la distribuzione del vaccino (e non solo) e che la politica si occupi di gestire la distribuzione, sottomettendosi alle leggi delle multinazionali, che tengono "la ricetta" per sè.L'inversione dei ruoli delle parti, già palese in tanti momenti della nostra vita, risulta palese e devastante in tempi di pandemia in cui non si contano più i morti e la crisi socio-economica alle porte si preannuncia spaventosa.Se non ora, quando, viene da chiederci.

È oggi, sulla soglia del baratro, che dobbiamo avere la forza di cambiare le regole del gioco passando a una forte e convinta azione che apra una profonda ridiscussione di quelle regole che ci tengono oggi inchiodati all'incertezza di una non-vita dentro ai vincoli dei Dpcm. Il resto è gestione e amministrazione. Ben poca cosa, di fronte alla sfida dell'oggi in cui la politica deve riprendere il ruolo di decisore della "cosa" e quindi anche della salute pubblica.

Paolo Grigolli


 

Parliamo di un vaccino, non di un "prodotto" sul mercato

Con i monopoli delle grandi case farmaceutiche - che tengono al laccio gli Stati e chi li guida - non è solo impossibile immunizzare tutti.

È impossibile anche ragionare. Ieri Astra-Zeneca avrebbe concesso all'Italia una sorta di liberatoria per la produzione di quel vaccino, ma non c'è dubbio: il tema dei diritti esclusivi, della proprietà e dei monopoli dei colossi farmaceutici sui brevetti - concordo con lei - deve costringere la politica ad agire in modo diverso, anche di imponendosi (se necessario) su chi fa business. Va trovato un modo per garantire ai produttori - che hanno fatto oggettivamente enormi investimenti - quello che chiamerei il giusto guadagno, ma il pallino, al limite anche con una forzatura, deve tornare nelle mani dei governi.

Non vedo altro modo per rendere democratico e per così dire universale il vaccino e per rispondere contestualmente agli allarmi lanciati prima di tutto dal Papa (che continua a dire che il Covid-19 sta facendo aumentare le disuguaglianze, tagliando fuori i più poveri). Viene in mente Benjamin Franklin, inventore, scienziato e uomo di Stato, che mise sempre la funzione civile delle proprie scoperte davanti ad ogni altra cosa, rinunciando a qualsiasi brevetto, a qualsiasi guadagno stratosferico. La sua lezione non si può dimenticare.

E l'esempio della Nutella e della Coca Cola è in tal senso perfetto: parliamo di un vaccino, non di un "prodotto" che deve imporsi sul mercato.

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