Il mondo visto da Giuseppe Nesi: Trump, Biden, la Brexit e... la Cina

di Giorgio Lacchin

L’insediamento di Joe Biden come 46° presidente degli Stati Uniti sarà mercoledì prossimo. Washington è blindata, lo è più del solito dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio da parte dei sostenitori di Trump. Ma dopo 4 anni di trumpismo cosa dobbiamo aspettarci da Biden?
«Domanda da un milione di dollari».
Proviamoci.
«Prima, però, facciamo un passo indietro».
Giuseppe Nesi è stato consigliere giuridico del Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella 65ª sessione, dal 2010 al 2011. Ha vissuto negli Stati Uniti per 9 anni e ora è professore ordinario di Diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza e la Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento. Nesi, 61 anni, è stato anche il preside di Giurisprudenza (dal 2012 al 2018).
La seguo, professor Nesi. Facciamo un passo indietro.
«Gli anni di Trump sono stati... inusuali. E uso un eufemismo. L’amministrazione Trump ha stravolto i parametri dei rapporti internazionali e i riti della politica».
Trump era imprevedibile.
«Fin da subito è sembrato volesse abbandonare i principi di multilateralismo presenti da sempre nella politica estera statunitense...».
...e gli altri Paesi hanno visto in questa amministrazione qualcosa di diverso da ciò che erano abituati a vedere.
«Sono venute meno alcune certezze, soprattutto la solidarietà transatlantica».
E questo ci riguarda direttamente.
«All’Italia è venuto a mancare anche una sorta di rapporto privilegiato con gli amici d’oltreoceano».
Con Trump anche il rapporto Usa-Cina è cambiato profondamente.
«Si è passati da una politica di rispetto e collaborazione a una politica di sfida».
Tutto questo ha prodotto molta diffidenza nei confronti degli Stati Uniti.
«Sì. E io credo che la prima missione di Biden sarà di ricostituire i rapporti con l’Europa, in particolare, ma anche con gli altri partner: Paesi come la Cina, che hanno un ruolo fondamentale. E insieme a tutto ciò, gli Stati Uniti dovranno recuperare il terreno perduto sul fronte della tutela dei diritti umani: Trump si è distinto anche qui, e non per il meglio».
Gli Stati Uniti dovranno lavorare con impegno anche sul piano interno.
«Dovranno farlo per tentare di superare il radicalismo che si è manifestato in molti settori della società e che ha consegnato al mondo un’America spaccata in due».
Per la verità, professor Nesi, l’America è spaccata in due da prima che arrivasse Trump. Ma certamente possiamo dire che Trump non ha dato una mano a ricomporre la frattura. Anzi.
«Questo è il problema. Non solo non ha fatto nulla ma ha enfatizzato le divisioni all’interno della società americana: quella tra bianchi e neri, quelle economiche e sociali. Ricucire gli “strappi” sarà uno dei compiti più ardui dell’amministrazione Biden».
Non c’è dubbio.
«Le confesso che questa frattura l’ho avvertita personalmente».
Lei ha vissuto negli Stati Uniti per molti anni.
«Dal 2002 al 2011, e ho notato la frammentazione crescente della società. Gli Stati Uniti si sono salvati grazie al proprio sistema di controllo e al ruolo fondamentale di componenti come la stampa, le forze armate, la parte sana dell’economia - la parte filantropica, intendo -, attenta ai diritti umani. C’è da sperare che dopo i gravissimi fatti del 6 gennaio si riparta su basi nuove per realizzare i principi veri e profondi, anche etici, che hanno sempre contraddistinto la vita della popolazione americana».
Gli Stati Uniti non sono l’unico Paese alle soglie di una svolta.
«No di certo».
Buttiamo un occhio alla Gran Bretagna. Le va?
«Bene».
Da pochi giorni è stato formalizzato il divorzio della Gran Bretagna dall’Unione europea: via dal mercato unico, dunque, e dall’unione doganale. Londra ha ottenuto che il libero commercio continui - non verranno introdotti dazi e quote sulle merci - tuttavia tornano i controlli doganali, cioè molta più burocrazia e scartoffie.
«Posso dire una cosa?».
Ciò che vuole, professor Nesi.
«La Brexit è stato un gravissimo errore da parte della Gran Bretagna».
Sembra chiaro a tutti.
«Il frutto di un equivoco».
Addirittura?
«Il premier britannico David Cameron era sicuro di vincere il referendum...».
Aveva fatto male i calcoli.
«Perse di poco, per la verità».
...ma perse.
«Non avrebbe mai dovuto giocare d’azzardo. Il risultato è che anche in Gran Bretagna c’è una spaccatura tra le grandi città e il resto del Paese».
Come negli Stati Uniti, dove le grandi città stanno con Biden e le periferie con Trump.
«Con una differenza: mentre negli Stati Uniti fino al 6 gennaio il Partito repubblicano era parso compatto, tra i Conservatori britannici non tutti pensavano che la Brexit fosse la panacea di tutti i mali. Ma hanno prevalso quelli della Brexit e la maggioranza vince...».
Lei pensa che i britannici siano già pentiti?
«Penso di sì. I più avveduti di sicuro. E nei prossimi mesi si accorgeranno delle conseguenze».
Ce ne accorgeremo tutti, almeno un po’.
«I britannici erano i padroni dell’Europa quand’erano all’interno dell’Unione. Ora, anche se un giorno lo volessero, non riuscirebbero a frenare l’integrazione europea. Anzi: il fatto che siano andati via potrebbe rilanciare il processo d’integrazione».
Nei mesi scorsi se n’è sentito parlare.
«Le risorse finanziarie messe a disposizione dopo la pandemia spero facciano capire che l’Unione europea può essere una “spalla” straordinaria nei momenti di difficoltà, di crisi. Questo spirito di solidarietà dovrebbe avere svelato anche agli euroscettici che senza la collaborazione continentale non c’è futuro per i piccoli Stati».
Un’ultima domanda, professor Nesi.
«Ma certo».
Sulla Germania.
«Che volta pagina».
Anche la Germania, sì. È stato eletto il nuovo presidente della Cdu, l’Unione Cristiano-Democratica. Il prescelto, Armin Laschet, è diventato automaticamente il probabile successore di Angela Merkel alla carica di Cancelliere federale della Germania. Una carica che Merkel detiene dal 22 novembre 2005.
«Scontato dire che l’eredità della Merkel sia troppo difficile».
Naturale.
«Il prossimo Cancelliere, comunque, dovrà tenere conto di tutto ciò che è stato fatto e del ruolo di guida del Paese in ambito europeo. Un ruolo ancora più importante ora che la Gran Bretagna è uscita dall’Unione».
E per l’Italia cosa cambia?
«Penso che il nostro Paese debba intensificare, approfondire i rapporti con la Germania. E il posto in cui viviamo...».
...il Trentino Alto Adige.
«...è uno straordinario ponte tra le due realtà. Intendo anche il rapporto economico: buona parte della produzione economica italiana è funzionale all’economia tedesca. E credo sia importante rafforzare i rapporti che già esistono: penso alle Camere di commerco italiana e tedesca, agli imprenditori. Tutto questo obbedisce alle responsabilità di Italia e Germania verso il resto d’Europa».
Italia, Germania e Francia rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo dell’Unione Europea.
«Possono costituire un asse per isolare i nazionalismi nascenti. Sì, la loro collaborazione è funzionale a evitare una deriva nazionalista. Una deriva che può solo fare del male a ogni Paese e all’Europa tutta».

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