Transizione ecologica, energia e sviluppo green europeo: ecco cosa prevedono gli esperti nel webinar trentino

Se ne è parlato ieri

TRENTO - Qual'è il futuro dell'Europa, così come si va delineando oltre le secche della pandemia e fra le pieghe di Next generation EU, altrimenti detto Recovery Fund? Due sono le parole che spiccano sulle altre: cultura e sostenibilità. Sui quali Se ne è parlato ieri nel corso di un webinar organizzato dal Centro di documentazione europea, da Europe Direct Trentino e dal Servizio pianificazione strategica e programmazione europea, assieme a due ospiti d'eccezione: Luigi Crema, responsabile dell'unità Ares della Fondazione Bruno Kessler, esperto di sistemi energetici e fonti rinnovabili, e Flavia Barca, esperta di industrie culturali e creative, membro del Comitato permanente di promozione del turismo in Italia e del Consiglio superiore del cinema e dell'audiovideo presso il Mibact.

Ecco la sintesi della discussione.

L'Agenda 2030 della UE prende in considerazione molte sfaccettature dello sviluppo sostenibile: economico, ambientale, sociale. Una misura della sostenibilità è l'impronta ecologica, indicatore che misura quanto consumi ogni persona, così come ogni paese, rispetto alle risorse planetarie, trasformando questo valore in ettari pro capite di terreno. Globalmente ogni cittadino potrebbe disporre di 1,7 ettari pro capite (in termini di energia, legname, cibo e quant'altro consumati). Ma negli Usa la media è di 5 ettari pro capite, 2,6 Italia, 2,2 Cina e così via.

Da cosa deriva questa impronta ecologica in eccesso? Dall'uso fuori misura dei combustibili fossili, nonché dell'acqua, delle foreste e delle altre risorse finite. Nel futuro, il consumo di combustibili fossili è destinato a calare. Ciò non solo per il suo impatto sui cambiamenti climatici, a causa dell'effetto serra. L'inquinamento da emissioni causa 4,5 milioni di morti premature all'anno (in Italia 56mila decessi). L'impatto economico negativo dell'inquinamento del resto è pari al 3,3% dei Pil mondiale circa. Nel frattempo gli impatti dei cambiamenti climatici sono già oggi evidenti, ad esempio sulle aree montane, con lo scioglimento dei ghiacciai, i problemi causati al settore idroelettrico, la distruzione di ecosistemi, gli impatti negativi sul turismo e così via. L'ultimo rapporto della IPCC, l'Agenzia intergovernativa sul clima delle Nazioni Unite, identifica rischi nelle zone montane molto seri, fra cui la diminuzione del 50% della disponibilità di acqua nei prossimi 10-15 anni. Ma non possiamo ridurre radicalmente il consumo di energia senza causare un contraccolpo fatale all'economia. Quindi dobbiamo cambiare i modelli di consumo e di produzione energetica. Il piano del Green Deal europeo rappresenta la tabella di marcia per rendere sostenibile l'economica UE e tocca temi molto concreti, dalla mobilità all'energia, dall'inquinamento alla filiera agroalimentare.

Il quadro che si sta costruendo è dunque quello di una transizione profonda, che comporterà nuovi modi di produrre energia, trasportarla, utilizzarla. Ma, in tal senso, il fattore umano e culturale è determinante. Ed i fondi europei Next Generation riservano infatti un ruolo importante alla cultura, su temi anche "trasversali" che spaziano dalla fruibilità digitale alla rigenerazione di borghi e periferie, all'interazione fra scuola, università, lavoro e così via.

Più in generale, però, la cultura, sulla base di quanto già previsto nel rapporto Bruntland (che nell'87 introdusse il concetto di sviluppo sostenibile) fornisce un nuovo paradigma, e determina i modi in cui l'uomo plasma il territorio, assegna valore alle risorse, influenza lo sviluppo locale. La cultura crea uno "spazio di senso", che è anche lo spazio della collaborazione, della condivisione, dell'incontro e della coesistenza fra differenze. Valori che sono alla base dell'idea stessa di sostenibilità (che, non dimentichiamolo, ha una proiezione intergenerazionale).

Per guidare la transizione, è emerso durante il webinar, c'è bisogno ad esempio di mediatori di comunità, che favoriscano l'adozione, anche su piccola scala, di misure di mitigazione e di resilienza, anche nelle zone montane. Spesso, del resto, le piccole comunità sono state in grado di costruire un modello efficace sul piano economico, con un costo dell'energia mantenuto invariato sul lungo periodo e un impatto ecologico decrescente. Le iniziative di queste comunità hanno attirato aziende e personale qualificato, che hanno generato a loro volta nuovi servizi e altra attività economica, in un circolo virtuoso che alla fine è arrivato alle università e ai centri di ricerca. In pochi anni realtà destinate a ridursi se non a estinguersi si sono trasformate in centri capaci di generare valore, sociale e umano.

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