In strada prima dell'alba quando è ancora buio

di Matteo Lunelli

È mattina presto. Ore 6.50. Piazza di Cognola. Accostato di fronte alla Chiesa c’è un piccolo furgoncino bianco. Su una fiancata l’adesivo «Siticibo», davanti e dietro la scritta «Banco Alimentare». Seduto al posto di guida c’è Roberto Scarpari. Per iniziare il piccolo viaggio ci ha concesso un orario più «umano», perché normalmente la partenza è fissata almeno un’ora prima.

Ogni giorno, quando ancora è notte, lui sale sul furgoncino e inizia il suo tour alla ricerca di cibo: mense, cucine delle scuole, bar, supermercati, panifici, pizzerie, che donano ciò che è avanzato permettendo a chi ha fame di mangiare. Si tratta di un recupero delle eccedenze e, poi, di una ridistribuzione agli indigenti, attraverso varie organizzazioni. Un lavoro quotidiano. Un lavoro nascosto, fatto all’alba ed entrando dalla parta sul retro. E questo lavoro, appunto, lo fa Roberto Scarpari. Saliamo sul furgoncino.

Da soli non andremmo da nessuna parte. Siamo parte di una catena virtuosa

«Andiamo a Mesiano, poi a Povo, poi scendiamo in città, Clarina e Cristo Re, e poi a Lavis. E poi vedremo che ora si è fatta, perché a quel punto c’è il giro dei supermercati, dei bar e delle pizzerie al taglio, ma lo farà Elisabetta, una volontaria».
La città è ancora buia, in strada solo qualche studente e qualche autobus (fotoservizio di Paolo Pedrotti).

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A Mesiano, nella cucina della mensa universitaria, c’è Giovanni. Sta preparando i pasti per gli studenti. Entriamo da una porta sul retro. «Ehi, buongiorno, sono Roberto». Il cuoco va in un abbattitore, prende alcuni vassoi e li appoggia su un tavolo. Intanto una battuta sulla Juventus, un ringraziamento e qualche frase sul contenuto dei recipienti. Usciamo e carichiamo i sei contenitori in appositi imballaggi nel bagagliaio del furgoncino. Dentro ci sono pasta al tonno, pollo, verdure: quello che hanno mangiato gli universitari a pranzo lo mangeranno i poveri il giorno dopo.

Il programma «Siticibo», che fa parte del Banco Alimentare, è nato nel 2003 e ha lo scopo di recuperare il cibo cotto e fresco in eccedenza. Inizialmente ha coinvolto mense, hotel, bar, ma dal 2009 si è allargato alla Grande Distribuzione Organizzata, ovvero ai supermercati. Si tratta, quindi, di prodotti non scaduti, di qualità, buoni. Gli stessi che mangiano bambini e ragazzi a scuola. Nel solo mese di gennaio Roberto Scarpari ha raccolto 600 chili di cibo dalle mense, che hanno sfamato centinaia di persone in altre mense, quelle dei poveri, dei senzatetto, delle case che ospitano tossicodipendenti o donne in difficoltà.

«Perché dovremmo dare da mangiare a certe persone gli scarti? Diamo gli scarti agli scarti? No, questo non va bene. Qui raccogliamo cibo di qualità e poi inizia una battaglia contro il tempo per portarlo sulle tavole di chi ha fame e bisogno di un aiuto».

Siamo a Povo, mensa di Matematica e Fisica. In cucina ci sono Enzo e Thomas. «Roberto, sei in ritardo oggi. Allora, tutto ok?». Si chiacchiera, si discute, si ride. Sguardi complici tra persone stanno facendo un piccolo grande gesto. Intanto una serie di operazioni praticamente automatiche: dall’abbattitore al vassoio, si impila, si guarda l’etichetta, poi si carica sul furgone.

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«La collaborazione di tutti i cuochi è fondamentale. Loro non lo fanno solamente perché sono obbligati dall’azienda, altrimenti lo farebbero male e il progetto non funzionerebbe. I recipienti li riempiono con cura e attenzione, condividendo il messaggio di solidarietà che c’è in quelle vaschette».

Arriviamo a Fbk, dove c’è Andrea. Altro cibo, altro carico. Uscendo Roberto Scarpari estrae il cellulare. «Guarda la App che ci ha fatto Fbk: vedi, ogni mensa o supermercato o bar ci dice quanti chili di prodotti ha pronti, con la data e l’ora. Io quando ritiro clicco e in automatico troverò un file in ufficio con tutti i totali, le fatture, i conteggi».

Scendiamo verso la città. Ormai sono arrivate la luce e il traffico. In Clarina c’è la mensa della scuola primaria. Ci accoglie Wilma con due colleghe. Altro carico. Poi via in Cristo Re, alle Schmid. In cucina c’è Marisa, con lei anche Camilla Santagiuliana, responsabile delle sicurezza alimentare per Risto 3. «Quello con il Banco Alimentare è ormai un appuntamento fisso. Coinvolgiamo il personale e soprattutto sensibilizziamo i bambini affiché non lascino cibo».

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I proverbiali «occhi più grandi della pancia» non vanno d’accordo con «Siticibo»: quello che avanza nel piatto finisce nel cestino, quello che avanza in cucina finisce a chi ha bisogno. Proseguiamo verso le scuole medie di Lavis. «Ciao Roberto. Ecco le vaschette, ma se vuoi ho anche pane? Lo prendi?». Come no? Si carica. Il furgone è praticamente pieno e il giro del cibo cotto è terminato. Nel bagagliaio ci sono 48 chili di pasta, carne, pane, frutta e verdura per Casa San Francesco.

«Un centinaio di persone questa sera o domani a pranzo potranno saziarsi». Il giro mattutino è finito, la giornata di lavoro per Scarpari è appena iniziata. «Ma non è dura se senti che stai facendo qualcosa di importante». E quel qualcosa di importante lo farà anche la prossima settimana e così via. Perché, purtroppo, di persone povere che hanno bisogno di cibo ce ne saranno ancora.


 

«DA SOLI NON FAREMMO NULLA»

Da vendere polizze assicurative a raccogliere cibo in nome della solidarietà. In estrema sintesi è questo il passo compiuto da Roberto Scarpari. L’accento fa subito capire che è di Roma, anche se ormai da più di trent’anni vive in Trentino. «Mia moglie è di Trento e a Roma, senza montagne, non riusciva a starci. Così sono venuto io al nord, più di trent’anni fa». È l’unico dipendente, dall’ottobre 2010, del Banco Alimentare in Trentino, ma vedendolo all’opera e sentendolo raccontare la propria attività, più che di un lavoro si tratta quasi di una missione. E anche, se vogliamo, una vocazione: perché un lavoro così non lo si fa certo solo per portare a casa uno stipendio.

«È importante riuscire a spiegare perché facciamo tutto questo. Ci sono delle motivazioni importanti, culturali e filosofiche, che dobbiamo far capire a tutti, dagli enti alle associazioni che collaborano, dalle famiglie ai singoli cittadini. Il vero spreco alimentare, infatti, è nelle case».

In fin dei conti si tratta, anche, di una questione di rispetto.
«Senza dubbio: rispetto del cibo, delle persone, del lavoro altrui. Noi non vogliamo raccogliere prodotti scaduti, al massimo prossimi alla scadenza, che è molto diverso: quello joghurt che prendiamo e che scade tra due giorni lo portiamo in tempi stretti sulla tavola di chi lo consumerà subito. Non rovistiamo nelle immondizie alimentari, perché sarebbe irrispettoso dare scarti e persone in un certo senso scartate dalla società. Ogni tanto penso che non ho la minima idea di chi mangerà il piatto di pasta che ritiro alle 6 del mattino: non conosco queste persone e ignoro le loro storie, ma voglio che si siedano a tavola come io mi siedo con i miei figli».

Per far arrivare quella pastasciutta su quel piatto, il lavoro di Scarpari da solo non basterebbe. Ecco perché fare rete è assolutamente indispensabile.

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«Da soli non andremmo da nessuna parte. Siamo parte di una catena virtuosa, ma siamo solo uno degli anelli e tutti sono indispensabili. Anzi, se diventassero dieci invece di cinque sarebbe ancora meglio».
Solo nel breve giro mattutino fatto insieme, per far arrivare l’ormai famoso piatto di pasta su un determinato tavolo, a vario titolo sono coinvolte: Università, aziende di catering, mense, Provincia, Comune, associazioni no profit, enti pubblici e ditte private.

«Abbiamo circa 180 enti convenzionati che una volta al mese vengono al Banco Alimentare per ritirare i prodotti raccolti grazie alla Colletta e messi sui bancali dai volontari. Alle spalle c’è un lavoro logistico, burocratico, di rapporti, telefonate, spiegazioni. Se finirà tutto questo? Il Banco nacque in Arizona nel 1967 grazie all’intuizione di John Van Hengel. Sopra la sua scrivania c’era una frase: “I poveri li avremo sempre, ma perché la fame?”. Ecco ritengo che fame e povertà siano cose differenti, da non confondere. E la fame non dovrebbe esistere».
Nel (poco) tempo libero Scarpari ama correre e andare in montagna. Ma parlando emerge che il vero amore sono i tre figli. «Ho tre maschi, di 36, 32 e 26 anni. Ormai si sono costruiti le loro vite, sono il mio orgoglio».

Infine, non potevamo non stuzzicarlo su un argomento decisamente meno importante. Visto l’accento, Roma o Lazio? «Sono un vero romano, quindi sono laziale. Purtroppo non andiamo molto bene, ma la fede resta. E due su tre dei miei figli sono riuscito a farli stare dalla parte giusta. Quella biancoceleste».


 

I VALORI DI ELISABETTA

Dopo più di due ore di raccolta cibo cotto nelle mense, Roberto Scarpari torna in ufficio. E passa la palla, o meglio le chiavi del furgoncino, a Elisabetta Tartini. È lei, infatti, nella seconda parte della mattinata, a occuparsi della raccolta presso i punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata, ovvero i supermercati. [[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"1542861","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]

Ma ci sono anche bar e pizzerie al taglio. Il lavoro e la «procedura» è più o meno la stessa di quella svolta nella prima parte della mattinata: se non cambiano sorrisi, gentilezza, condivisione, a cambiare sono i prodotti.

«Non prendiamo nulla di scaduto - spiega Elisabetta Tartini - per una questione di rispetto. Ci danno soprattutto uova, frutta e joghurt, tutte in ottimo stato. Poi nei bar, come il Caffè al Corso in corso 3 Novembre, brioches e panini. E da Pizza Granda, ovviamente, pizza».
L’accento tradisce le sue origini. «Sono di Vicenza, anzi di Caldogno. Baggio? Sì, esattamente. Roberto lo conosco, abitava poco distante da casa mia e, tornando da scuola, io e le mie amiche passavamo sempre e apposta, davanti a casa sua. A parte essere stato un bravo calciatore direi che è una persona molto in gamba».

Chiudiamo la doverosa parentesi sul «divin codino» e torniamo alla solidarietà.

«Nel tempo libero mi piace mettermi a disposizione degli altri e fare solidarietà. Faccio parte della Protezione Civile, in particolare dei Nuvola, e da qualche settimana ho iniziato a collaborare come volontaria con il Banco Alimentare. Sto capendo e conoscendo, ma direi che i principi sono bellissimi ed è un piacere darsi da fare per le persone che hanno più bisogno. Qui, poi, si tratta di cibo, quindi di un bisogno fondamentale per tutti».

Poi arrivano i complimenti per il Trentino. «Devo dire che qui la macchina della solidarietà è splendida e funziona veramente bene: è molto bello farne parte».


 

NEL 2016 BEN 250 TONNELLATE

Il Banco Alimentare ha un proprio giorno «sotto i riflettori», ovvero quello della Colletta Alimentare: una maxi spesa fatta grazie all’aiuto di migliaia di persone.

Lo scorso novembre in Italia sono stati raccolte 8.500 tonnellate di pasta, olio, biscotti (con un calo del 5%), mentre in Trentino si è raggiunta la cifra record di 267 tonnellate (+2%, considerato che nel 2015 furono 262).

Tra i programmi del Banco c’è «Siticibo», per la raccolta e distribuzioni di prodotti sia cotti sia freschi. Nel 2016 in Trentino Alto Adige sono state raccolte quasi 250 tonnellate di cibo: 30 dalla ristorazione (mense, ovvero cibo cotto) e 219 dalla Grande Distribuzione Organizzata (ovvero i supermercati).

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Nella sola città di Trento sono circa 50 gli enti coinvolti nella seconda fase del lavoro: se la parte di raccolta e di distribuzione è «a carico» di «Siticibo», quella successiva, ovvero, riassumendo, mettere in tavola e riempire i piatti, è svolta da organizzazioni, come Caritas, Alpini o parrocchie, o strutture di assistenza e recupero.

Durante la giornata di ieri, grazie al lavoro di Roberto Scarpari e di Elisabetta Tartini, sono stati raccolti più di 200 chili di cibo: circa 48 di cotto (pasta, carne, verdura dalle mense universitarie e scolastiche) e 177 di fresco (uova, joghurt, frutta, pizza, affettati da supermercati, bar e pizzerie). Per quanto riguarda i prodotti cotti, nel solo mese di gennaio 2017 si è raggiunta la cifra di 600 chilogrammi.

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