«Per una donna, in Italia fare famiglia mette a rischio la carriera« spiega Saraceno

 

«L’Italia è uno dei Paesi in cui la presenza di figli minori incide di più sulla vita di una donna: il 75% delle dimissioni volontarie in Italia riguardano motivi famigliari. Fare famiglia per una donna è un rischio altissimo per restare nel mercato del lavoro». Lo ha detto la sociologa Chiara Saraceno, nel corso del dialogo con l’economista Alessandra Casarico, durante il Festival dell’economia di Trento.

 «La chiusura delle scuole ha significato un’intensificazione del lavoro per le donne. Molte donne si sono trovate con un sovraccarico di lavoro non sostenibile», ha aggiunto Saraceno.

 Casarico ha rilevato come in Italia, prima della crisi, il tasso di occupazione femminile prima della crisi era del 50% (allineato con i Paesi dell’area Ocse al Nord, più basso al Sud), ma le retribuzioni femminili erano inferiori del 20% rispetto a quelle maschili. «C’è un tema legato al mercato del lavoro e ai carichi di cura, che non dipendono da quello che hanno studiato o dal grado di istruzione», ha concluso.

Per capire un po’ gli effetti della crisi e come questa abbia colpito maggiormente le donne è utile partire da un dato: a gennaio 2020 – quindi prima dell’inizio della crisi - il tasso di occupazione femminile era del 50%. Una donna su due in Italia lavorava. Su questo terreno si è innestata la crisi del Coronavirus.

“Sul tema dell’occupazione vanno considerati quattro diversi fattori – ha spiegato Alessandra Casarico – la dimensione geografica, ovvero la differenze tra Nord e Sud Italia. Se il Nord è in linea con i Paesi Ocse, i dati del Sud ci dicono che 1 donna su 3 lavora. Altra dimensione è l’età, le donne più giovani partecipano di più al mondo del lavoro. Terzo fattore è l’istruzione. E qui i dati mostrano che le donne più istruite partecipano di più al mercato del lavoro. Ultimo tassello la presenza di carichi famigliari. Su questo fronte la maternità è un fattore determinante, un ostacolo a volte insormontabile per la partecipazione delle donne al mondo del lavoro”.

Ma se in passato le crisi colpivano maggiormente gli uomini, in quanto coinvolgevano settori in cui essi erano maggiormente presenti, questa volta le attività più colpite sono state quelle associate a servizi ove vi è una presenza maggiore di donne. “Altro elemento chiave della crisi – ha proseguito Casarico - è stata la totale chiusura dei servizi di cura. Chiusura che ha comportato un impatto forte sul tempo delle famiglie e ancora di più su quello delle donne”.

“L’Italia è uno dei Paesi in cui la presenza di figli minori incide di più sulla vita di una donna - ha esordito Saraceno – Il 75% delle dimissioni volontarie in Italia riguardano motivi famigliari. Fare famiglia per una donna è un rischio altissimo per restare nel mercato del lavoro”. E anche qui il punto di partenza pre crisi sono le politiche di conciliazione molto ridotte, nonché disuguali rispetto ai territori. “Lo tsunami – ha sottolineato Saraceno - ovvero la chiusura delle scuole ha significato anche per le donne che potevano lavorare da casa la doppia presenza in contemporanea. Un’intensificazione quindi altissima del lavoro, che ha visto per le donne, oltre alla cura dei figli anche l’attività didattica a distanza. Le indagini ci dicono che le madri hanno aumentato il proprio impegno e anche se i padri sono stati più presenti, questo non ha compensato il lavoro materno. Molte donne si sono trovate con un sovraccarico di lavoro non sostenibile”.

Per aiutare le famiglie il Governo ha messo in campo congedi parentali, bonus baby sitting. “Ancora una volta il congedo parentale - ha spiegato Saraceno - è stato preso di più dalle madri che dai padri. Una volta però esaurite le ferie, i congedi, i permessi molte donne hanno dovuto rinunciare volontariamente al lavoro per far fronte al bisogno di cura dei propri figli. Abbiamo una società che si lamenta dei bambini che non nascono ma poi non fa nulla per ampliare i gradi di libertà per chi i figli vorrebbe averli".

Altro tema emerso nel dibattito è stato quello del diritto dei bambini. Rinchiusi per mesi in casa, con una didattica esclusivamente a distanza. “Nell’emergenza non si poteva fare altro – ha spiegato Saraceno – ma bisogna ricordare che i bambini e i ragazzi hanno bisogno di socialità. Anche il loro bisogno di spostamento è stato soppresso. Molte ricerche iniziano a mostrare i danni psicologici e sullo sviluppo dei bambini dovuti al lockdown. Si tratta di regressioni nell'apprendimento linguistico, di dipendenza dai genitori. Senza contare gli effetti negativi che la lunga pausa estiva avrà sulla loro istruzione, specialmente per chi a scuola fa più fatica. Questo andrà ad incidere sulla dispersione scolastica”.

Come strategia per rompere il cosiddetto “soffitto di cristallo” il Governo ha proposto di sostenere un master formativo per 500 donne manager con un sostegno economico. “Nelle intenzioni questa proposta doveva andare ad attaccare il tema della carenza di donne nei vertici delle aziende – ha spiegato Casarico – ma qui il tema non è il grado di istruzione. Il 57% dei laureati è donna, poche però intraprendono discipline scientifiche. Le ragioni ci portano a stereotipi all’interno delle famiglia e all’interno delle scuole. C’è un tema legato al mercato del lavoro e ai carichi di cura, che non dipendono da quello che hanno studiato o il loro grado di istruzione. Le donne lavorano un numero minore di ore, hanno remunerazioni inferiori. Se dobbiamo pensare ad avere donne manager forse abbiamo degli snodi più strutturali su cui lavorare”.

Il divario economico accanto a quello occupazionale è una delle dimensioni del gender gap. Le donne in Italia mediamente guadagnano il 20% in meno rispetto agli uomini. “Su questo tema nel tempo è diventato importante concentrarsi sulle imprese – ha spiegato Casarico – a loro viene chiesta più trasparenza nei dati e quali sono le remunerazioni. Questo per aiutarle ad assumere una maggiore consapevolezza e ad individuare discriminazioni”.
"L’importanza dei servizi di cura - ha concluso Casarico - di politiche che favoriscano la condivisione con un coinvolgimento più attivo dei padri e politiche con le imprese volte alla trasparenza e al controllo sui dati inerenti le retribuzioni sono dei diversi punti di attacco che potrebbero aiutarci a ridurre il divario".

 

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