Il virus contro i rifugi trentini: i pernottamenti sono crollati

di Leonardo Pontalti

Un’estate difficile ma, soprattutto, diversa. L’emergenza Covid-19 ha lasciato in eredità ai rifugisti trentini una stagione anomala.

Segnata non solo da un calo generalizzato dei pernottamenti, ma anche da veri e propri picchi di presenze non facilmente gestibili.

L’estate in quota è partita ufficialmente lo scorso 20 giugno ed il primo mese di attività permette di tracciare un primo, parziale, bilancio.
Che lascia una fotografia dai tratti eterogenei: in alcune realtà le cose sono andate meglio di come si potesse temere, in altre le difficoltà sono davvero pesanti: è il caso soprattutto delle strutture più in quota che legavano la loro attività alle uscite di scuole di alpinismo, completamente ferme quest’estate.

Numeri preoccupanti.

La stagione non è ancora a metà, ma i numeri del primo mese di aperture non possono che far scattare un campanello d’allarme.
In alcune realtà il calo dei pernottamenti si attesta anche al 50% rispetto agli anni precedenti.
C’è anche chi se la vede ancora peggio: «Siamo qui in due. Chi è stato qui ha di certo presente cosa voglia dire, il fatto che bastino due persone per gestire il rifugio», spiega malinconicamente Romano Ceschini, dai 3.025 metri del rifugio Caduti dell’Adamello alla Lobbia. Dove il grosso dei pernottamenti lo garantivano le scuole di alpinismo: «Tutte ferme quest’anno. Sale qualcuno nei fine settimana ma non basta certo a recuperare le prenotazioni mancanti. Andiamo avanti comunque, sperando nel 2021».
Ai 2.600 metri del Passo Principe, nel Catinaccio, Sergio Rosi snocciola dati spietati: «Come sta andando? Lavoriamo al 50%», spiega mentre prepara i tavoli per le colazioni, in un venerdì mattina piuttosto fortunato: la sera del 16 luglio è arrivato un gruppo di amici lombardi di otto persone.
Grasso che cola. «Il problema è che per ora si tratta di piacevoli eccezioni.
Da una notte, due al massimo. E per chi vive soprattutto di pernottamenti è un problema».

Boom nei fine settimana.

«Al sabato, alla domenica, il viavai è fitto. Ma si tratta di un traffico che raramente garantisce entrate.
C’è chi si ferma a mangiare, ma la maggior parte di chi arriva per la gita di un giorno, porta con sè i pasti. Tanta gente, ma che non lascia il segno per quel che riguarda gli incassi».
«I fine settimana? Un ferragosto dopo l’altro», conferma poco più a sud Roberta Silva del Roda di Vael. «Per il resto la situazione è tranquilla. Fin troppo. Mi aspettavo qualcosa di più, del resto se mancano gli stranieri non può che essere così. Sono loro a garantire tradizionalmente pernottamenti di più notti».
«Con i pernottamenti siamo fermi. Praticamente zero», conferma Mario Desilvestro, al Gardeccia, mascherina d’ordinanza addosso. «Rifugisti mascherati e disperati», prova a scherzare mentre serve ai tavoli esterni caffè e cappuccini: «Il grosso sono il servizio bar e qualche pasto a pranzo, ma poco di più per ora. Speriamo la situazione migliori».
Al Vallaccia, in cima alla Val Monzoni, Jacopo Bernard è soddisfatto: «Devo dire che va più che bene, le presenze sono cresciute rispetto all’anno scorso. È una clientela differente rispetto al passato, gente che si siede fuori e si gode la gita, concedendosi qualche sfizio in più. Per quanto riguarda le regole covid sono molto rispettosi gli italiani, ma gli stranieri ci chiedono perché usiamo le mascherine».

Nel gruppo delle Pale la stagione è partita ad handicap, con le ferrate il Pradidali e il Velo della Madonna chiuse e sistemate a tempo di record: «Qualche arrivo straniero inizia ad esserci», spiega Duilio Boninsegna (Pradidali) che dalla sua ha un inguaribile ottimismo: «Facciamo quel che si puo, certo è più dura rispetto agli anni scorsi ma la gente arriva.

Anche qualche olandese, qualche belga. Erano qui nei giorni della polemica proprio con il Belgio, che aveva sconsigliato viaggi in Trentino: ne abbiamo sorriso assieme. Per noi è un’estate anomala. Dobbiamo gestire degli infrasettimanali con poca gente è dei fine settimana con la ressa, con non poche difficoltà anche a gestire le misure di siciurezza, tra chi ha e non ha la mascherina, chi si arrabbia per doverla mettere e chi si arrabbia vedendo chi non la indossa».

«C’è chi ha letteralmente paura e se vede gente all’interno non entra - spiega Emanuele Tessaro al Brentari, in Cima d’Asta - per fortuna siamo riusciti ad allestire un chiosco esterno proprio per venire incontro a chi preferisce restare all’esterno».

In alta Val di Sole, la situazione non è diversa dal resto del Trentino: «Grandi numeri nei fine settimana, presenze limitate dal lunedì al venerdì», conferma dal Larcher, ai piedi del Cevedale, Manuel Casanova.
Mirco Dezulian, al Denza ai piedi della Presanella, nelle prime settimane di aperture ha dovuto fare i conti con la chiusura della strada che ha limitato gli accessi. «Ora va meglio. Soprattutto alla domenica. La gente che sale in giornata è tanta, ma per noi è difficile poter fare loro un servizio come si deve. I pernottamenti sono quello che sono, ma almeno per ora il tempo prova a darci una mano».

In Brenta Alberto Angeli descrive una realtà non molto diversa: «Le presenze dei fine settimana sono numerose, ma non si può dire lo stesso dei pernottamenti durante la settimana. Ora l’importante è lavorare al meglio, fare quello che possiamo, poi tireremo le somme. Prepararci per questa stagione strana non è stato facile, vedremo a fine estate come sarà andata».

Dall’altra parte della Rendena, al Segantini.
Per quel che riguarda le strutture di proprietà della Sat, i conti i gestori li faranno anche con i vertici dell’associazione di via Manci. La presidente Anna Facchini alla vigilia dell’avvio della stagione aveva specificato come, in autunno, si valuterà caso per caso se vi siano i presupposti per rivedere i canoni d’affitto delle strutture.
La sensazione, purtroppo, è che in svariati casi non possa che essere così, pena la resa da parte di alcuni gestori.

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