Impianti di risalita: lo stop fino al 15 febbraio preoccupa «Ristori e nuove valutazioni»

Il mondo del turismo in montagna incassa un altro duro colpo con la proroga dello stop agli impianti di risalita, abbinata al divieto di spostamento fra regioni gialle (sia pure mitigato dal via libera ai viaggi verso le seconde case).

«Continueremo anche nei prossimi giorni e settimane a chiedere garanzie sui ristori per lo sci e per tutte quelle attività che devono restare chiuse. Il governo su questo deve esserci».

A dirlo il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, intervenuto sull’ennesimo stop alla riapertura degli impianti (fino al 15 febbraio) disposto nel nuovo dpcm.

«Proprio nei giorni scorsi non mi sono voluto esprimere sull’eventuale via libera per lo sci ai residenti e credo in generale sia poco serio fare il passo più lungo della gamba sapendo di dover poi fare marcia indietro», ha aggiunto Fugatti. «In generale, visto anche quello che è accaduto con la Val d’Aosta e l’invalidazione della loro legge sulle riaperture, non credo convenga fare strappi».

Ormai il "sistema montagna" dell'arco alpino italiano sembra avvicinarsi alla rassegnazione per quanto riguardfa questa stagione, ormai largamente compromessa; fino ad ora aveva invece dimostrato fiducia nella possibilità di riaprire quest’anno seggiovie e alberghi.

Nelle settimane e nei mesi scorsi si sono ripetutamente sollevate molte voci degli operatori trentini e dei loro rtappresentanti, ma lo scenario non si è mai sbloccato, anzi.

«Mi sembra abbastanza inverosimile che la stagione possa partire il 15 febbraio, io non sono così ottimista», dice Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef).

I comprensori sciistici italiani fatturano più di un miliardo di euro a stagione e generano un indotto che vale sette volte tanto, secondo alcune stime. C’è ora il rischio di una crisi senza precedenti, quantificata in almeno 11 miliardi di euro, che potrebbe abbattersi sul delicato equilibrio socio-economico delle terre alte italiane.

«Il tema è ora quello dei ristori che devono consentire la sopravvivenza delle imprese almeno fino al dicembre 2021», spiega Ghezzi. Le regioni di montagna hanno già messo sul tavolo del governo una richiesta di almeno 4-5 miliardi.

Tra tutte le regioni, è la piccola Valle d’Aosta quella che più dipende dal turismo alpino. Anche da qui parte il grido di dolore degli albergatori: «Gli ultimi decreti mettono definitivamente una pietra tombale su questa stagione invernale, gli albergatori di montagna si mettano il cuore in pace e lascino chiuse le proprie strutture per tutto l’inverno», spiega Filippo Gérard, presidente dell’associazione che riunisce le attività ricettive valdostane.

«In questa situazione - prosegue - siamo costretti a dare un consiglio paradossale ai colleghi che sono così disperati che vorrebbero aprire a tutti i costi, ma la disperazione offusca la ragione: state fermi, rimanete chiusi, fate i conti, se si apre aumentano solo le spese di gestione senza possibilità di clientela».

Se dal cuore delle Alpi ci si sposta sull’Appennino la situazione non cambia. «Il Dpcm appena firmato ha confermato il blocco degli impianti di risalita sono stati persi fino a oggi milioni di euro e ci sono migliaia di persone ferme in attesa di poter tornare a lavorare. Ancora una volta la montagna è costretta a pagare un prezzo troppo alto», lamenta Lorenzo Berardinetti, presidente Uncem Abruzzo. Intanto la Regione Emilia Romagna stanzia un contributo una tantum di 5.000 euro a favore di 298 imprese del settore dell’ospitalità turistica in Appennino, per una cifra complessiva che sfiora il milione e mezzo di euro.

«La montagna ha bisogno di ristori - dice ancora Gérard - affinché le aziende possano arrivare vive nel momento in cui ci sarà la ripartenza, altrimenti sarà un’ecatombe di imprese e di posti di lavoro».

Secondo Giorgio Merlo, sindaco di Pragelato (Torino), «è arrivato il momento di aprire la cosiddetta vertenza montagna» con il governo perché «resta ancora del tutto inevaso il nodo decisivo della filiera economica e produttiva legata alla neve».

«La pratica dei ristori - scrive Merlo - resta misteriosamente in alto mare. Malgrado ripetute richieste e molti appelli. Al di là della totale irrilevanza politica, come tutti sanno, degli ordini del giorno approvati in Parlamento e di fronte al silenzio del governo impegnato a risolvere i problemi creati dalla ennesima e largamente collaudata destabilizzazione del partito personale di Renzi, si corre il serio rischio di registrare la crisi irreversibile di molti settori produttivi presenti nelle terre alte. Non c’è più tempo da perdere. Sempreché - prosegue Merlo - non si ci voglia limitare a prendere atto del fallimento di centinaia di piccole medie aziende e di gettare a mare migliaia di posti di lavoro riconducibili all’industria della neve».

Merlo si appella dunque al governatore del Piemonte affinché solleciti, daccordo con le altre Regione e con le Province autonome, un confronto immediato con Roma sia sui ristori sia sulla creazione di condizioni per una adeguata e giusta ripartenza. Seppur nel rispetto rigoroso delle normative e dei protocolli sanitari. In discussione, infatti, - conclude Merlo - non c’è l’esercizio di uno svago o la gestione di una vacanza ma il futuro e la sopravvivenza di migliaia di famiglie. Ecco perché non si può più scherzare».

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