Vaccino trentino per il covid Al Cibio la ricerca continua grazie al contributo dell'Avis

di Zenone Sovilla

Se il vaccino anti-covid sviluppato al Cibio, il laboratorio di biologia integrata dell'Università di Trento, avanza più lentamente di altri progetti simili è solo per una questione di soldi.
In realtà, dal punto di vista della ricerca scientifica, il processo è andato speditamente e con risultati promettenti, fino alla soglia di una fase sperimentale che richiede giocoforza finanziamenti al momento non disponibili.

A occuparsi del progetto trentino, fin dalla primavera scorsa, è il professor Guido Grandi, titolare del laboratorio di vaccinologia del Cibio, con la collaborazione del collega virologo Massimo Pizzato, capo del team dello stesso Cibio che studia l’interazione virus-cellula.

«Dopo le ultime modifiche possiamo dire che il vaccino sviluppato qui da noi è davvero maturo e ora si tratta di proseguire la sperimentazione», spiega Pizzato all'Adige, dicendosi soddisfatto dell'interessamento da parte del'associazione volontari del sangue, l'Avis, che è intenzionata a intervenire con una donazione.

Se per passare alla sperimentazione sull'esssere umano sono necessarie somme ingenti di cui per ora il Cibio non dispone, sarà invece verosimilmente possibile aprire una nuova fase di test animali su basi diverse, che consentono di avvicinarsi a quelli che sarebbero i criteri valutativi degli effetti e delel reazioni del vaccino sulle persone.

Entro qualche mese sapremo se anche questo step sarà superato e se nel frattempo saranno arrivati nuovi sostegni economici per il vaccino trentino, che potrebbe un giorno arricchire la "biodiversità" dei prodotti disponibili contro il covid. Va tenuto presente, infatit, che ogni vaccino risponde a metodologie e caratteristiche di azione diverse, quindi la diverrificazione dei prodotti sarà una chiave per poter poi individuare quelli più efficaci e sicure nel corso del tempo.


Il professor Guido Grandi: i risultati

di laboratorio sono molto incoraggianti

«Il nostro vaccino per il nuovo coronavirus? Ormai è pressoché pronto per la fase uno della sperimentazione umana; ma ci mancano ancora i finanziamenti per procedere. Peccato, perché i risultati di laboratorio sono molto incoraggianti e la metodologia innovativa utilizzata dà ampie garanzie dal punto di vista clinico», aveva spiegato all'Adige il professor Guido Grandi in un'intervista rasccolta un paio di mesi fa.

Non lasciano dubbi i dati positivi fin qui acquisiti sui modelli di sperimentazione animale del progetto, cui collabora anche la start-up Biomvis: «Manca ancora qualche approfondimento, ma posso già dire che per quanto mi riguarda utilizzerò il mio vaccino, sono tranquillo sugli effetti. Sarebbe bello trovare uno sponsor per procedere con le fasi successive, fino alla registrazione finale, ma su questo fronte la competizione internazionale è molto accesa».
I finanziamenti sono un nodo complicato: quante speranze avete al Cibio di ricevere un sostegno economico ad hoc?
«È difficile. Le risorse probabilmente non basteranno per tutti: oggi nel mondo esistono oltre trenta gruppi di ricerca che hanno già avviato la sperimentazione sui volontari. Comunque vada, noi proseguiamo i nostri studi, che sono basati su una piattaforma all’avanguardia e potrebbero fornire soluzioni preziose un domani, magari di fronte a mutazioni di questo virus con la conseguente necessità di modificare i vaccini in produzione. Nella sperimentazione preclinica abbiamo dimostrato che il nostro vaccino assicura l’immunità: i topi sviluppano anticorpi in grado di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule».
E qual è la specificità che rende raro, se non unico, l’approccio metodologico seguito al Cibio?
«La strategia si basa sull’impiego di vescicole di membrana di un batterio che vengono da noi decorate con singole porzioni delle proteine del virus sars-cov-2. Queste piccole e innocue, ma importanti, porzioni di virus, una volta nell’organismo riescono a indurre negli animali delle risposte immunitarie complete».
Qual è il vantaggio di trasferire solo piccole componenti delle proteine virali?
«Significa che si ottiene l’immunità evitando uno dei rischi principali dei vaccini, cioè che siano loro a provocare un’infezione. Un’altra caratteristica rilevante di questo metodo è la semplicità: è un vaccino economico da realizzare anche su larga scala e quindi facilmente accessibile, per esempio ai Paesi più poveri. Sono appena stato invitato a un congresso internazionale sui vaccini contro il sars-cov-2, a dicembre: in quella sede presenterò nel dettaglio i nostri risultati, sperando che possa rivelarsi un’occasione per valorizzare il lavoro e consentirci di passare alle fasi successive. Se potessimo avviare la sperimentazione umana, potremmo dimostrare tutti i punti di forza di questo vaccino, che tecnicamente si può considerare pronto e già fra poche settimane, in autunno, potremmo passare alla fase uno».
Quanto denaro serve per questi test clinici?
«Si possono stimare dai due ai quattro milioni, dipende da come si struttura il progetto. È necessaria una produzione del vaccino su scala limitata, ma in condizioni validate dal ministero della sanità, cioè in strutture dotate di impianti autorizzati. Inoltre, abbiamo i costi di registrazione del piano e quelli per lo studio sul volontario. La certezza è che le nostre ricerche andranno avanti in ogni caso e ne sortirà un ottimo lavoro scientifico da pubblicare».

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