I brand scoprono i nano-influencer: puoi diventarlo anche se hai solo mille followers, ecco le dritte

Basta con gli influencer da milioni di followers: le grandi compagniue scoprono i nano-influencer. Perché è finita l’epoca dei finti unboxing e dei video patinati. Il bello dei social “veloci” è proprio la spontaneità. E ora è più facile diventare influencer anche per voi.

Il mercato legato agli influencer, ossia le persone «comuni» capaci di influenzare un acquisto, è in continua crescita perchè l’influencers marketing, dati alla mano, risulta più proficuo, almeno per ora, per i brand usando “influencers comuni” rispetto al coinvolgimento di celebrities. Queste persone risescono infatti ad arrivare più direttamente ad un pubblico che poi procede ad acquistare.

Un mondo ben noto per quanto riguarda i settori della moda, del beauty e anche dell’elettronica, ma che a parte il target giovane e smart, risulta ancora da esplorare per la maggior parte delle persone.

Lo spiega Grazia Zuccarini, osservatrice del mondo digital tra Italia e Los Angeles, che studia e lavora con questo sistema dalle origini del fenomeno, capace dunque di coglierne i cambiamenti: «Far arrivare un messaggio ed un prodotto all’utente finale sarà sempre più strategico - dice -. Saranno sempre di più i post sponsorizzati che appariranno nei feed dei propri social e considerando che il 26% degli utenti connessi da desktop e il 15% di quelli da cellulare usano software per bloccare la pubblicità, diventa sempre più strategico l’utilizzo di “creatori di contenuti” per far arrivare un messaggio ed un prodotto all’utente finale».

Il 63% dei responsabili marketing infatti, dichiara di voler inserire campagne influencers nella propria strategia e il 90% di queste campagne saranno pianificate su Instagram dove è dimostrato che contenuti prodotti da “content creators” influenzano 9.8 volte di più l’acquisto che non quelli creati dal brand stesso.

Il 2020 ha confermato questa tendenza: i profili degli influencers sono diventati canali di intrattenimento, dove almeno inizialmente le attività di sponsorizzazione, quelle a pagamento indicate con #adv, erano considerate parte del racconto, ma che poi data la alta concentrazione e ripetitività sono diventate via via forse meno credibili agli occhi degli utenti e meno efficaci per il brand.

L’anno del covid ha consolidato l’importanza dei micro-influencers, fino a 100.000 followers, considerati il Sacro Graal dei consumi ridotti nell’anno della pandemia. Su di loro sono stati investiti i budget ristretti dei vari brand alla ricerca di engagement e reach, su di loro si sono concentrate massive attività di organic seeding, ovvero invio prodotti a titolo gratuito, indicate con #gifted by, nell’opportunità che nel rito dell’unboxing - l’apertura del pacco - rigorosamente ripreso e condiviso (shaerato) in IG stories il brand possa avere qualche secondo di visibilità a costo zero. Ma sponsorizzazioni e unboxing annoiano gli utenti che in comunità sempre più numerose diventano infedeli e dubbiosi, diminuisce così l’interazione talent - follower che tanto interessa ai brand e che assicura, secondo l’algoritmo Instagram, un’amplificazione della visibilità. Diminuiscono quindi i ritorni delle attività sponsorizzate e di quelle organiche.

Così nel 2021 cambiano gli scenari e l’attenzione si sposta sui nano-influencers, quelli che hanno da 1000 a 3000 followers (in alcuni paesi sono considerati nano già quelli con 600 fan), sulla base dei numeri che definiscono questa categoria, ogni utente in effetti può essere considerato un influencer senza pensare di esserlo riuscendo magari con la visibilità tra i propri amici a comunicare in maniera fresca i contenuti sempre più creativi e personali.

Più autentici, semplici da gestire, non viziati - almeno per ora - non sono creatori digitali professionisti, i loro profili possono sembrare quelli del ragazzo o della ragazza “della porta accanto”, ma in realtà i loro contenuti non patinati piacciono anche alla gen-z che sceglie la filosofia #nofilter verso #instaperfect. Le loro comunità sono ristrette, ma dalle grandissime potenzialità: gli utenti si conoscono spesso anche personalmente, dialogano tra loro in maniera spontanea, le loro relazioni sono più solide quindi più credibili.

Gli interessi sono comuni, una nicchia di utenti che condivide valori, comunica con lo stesso tone of voice, ama condividere opinioni ed instaurare un dialogo.

Considerando che il 92% dei consumatori dichiara di credere di più alle raccomandazioni di altre persone che a quelle di un brand, ecco che i nano-influencers e i loro “seguaci” diventano fondamentali nelle strategie marketing 2021 registrando su IG un engagement rate pari a 7,2% contro quello dei i micro-influencers che è solo 3,7%.

Ma come funziona? Il successo di un contenuto si gioca nella prima mezz’ora di pubblicazione, le interazioni che si hanno in questo periodo di tempo determinano la visibilità di un post, l’algoritmo di Instagram premia con visibilità i contenuti che ricevono più like e commenti reali e genuini in questo lasso di tempo. Per garantire un acquisto servono in media 6-8 tap (interazioni con contenuti, profilo, link), ecco quindi l’importanza strategica di un contenuto vincente che deve essere sincero, reale, convincente, raccontato senza alcun filtro, un contenuto come una storia che sia in grado di tenere l’utente connesso fino alla fine per avere maggiore possibilità di interagire.

Chi meglio del leader di una nano-community può influenzare a tal punto i propri followers non solo scegliendo contenuti mirati ma soprattutto raccontandoli secondo story telling sur-mesure? «I formati più performanti per catturare e mantenere l’attenzione sono e continueranno ad essere gli short video e i reel verso post e IG TV» spiega Betty Gabbaie, CEO di “Let’s Get Disruptive”, agenzia di digital marketing e professore di influencers marketing alla UCLA di Los Angeles «e tra gli hot topics #diversity e #inclusivity. Proprio su queste tematiche c’è stato uno cambiamento importante perlomeno negli Stati Uniti: prima erano i brand che investivano per farsi portavoce di questi valori, ma le loro campagne patinate hanno perso la credibilità e le interazioni degli utenti. Ecco quindi che cambiano le strategie di influencers marketing e invece di cercare talents dai grandi numeri i clienti scelgono nano e micro-influencers in qualche modo “diverse” che sappiano attrarre l’attenzione di nuovi potenziali consumatori rimanendo rigorosamente politically correct».

Compresa l’importanza dei nano-influencers, resta il problema di come individuarli e iniziare una collaborazione. Alcuni di essi sono persone fedeli al brand, seguono già la pagina magari senza interagire solo per essere informati sulle ultime novità. Identificarli e scrivergli in DM (direct message) invitandoli a recensire un prodotto o a partecipare a varie attività social come una diretta IG, è il modo più spontaneo ed efficace per contattarli e gratificarli.

Alcuni di loro possono essere scelti come “ambassador” per il brand non dimenticando che il nano-influencer di oggi può crescere e diventare il macro-influencer di domani, sempre fedele al brand e con una grande potenzialità sulla sua comunità.

Per raggiungere influencers al di là della propria base fan, esistono specifiche piattaforme che creano la connessione content creator - brand, la più nota è Tribe, che però non è ancora presente in Italia. Tribe è un market place self-service che collega i marchi con micro e nano-influencers, aiuta a trovare persone comuni che creano contenuti di qualità. Basta inviare un brief della propria campagna al market place e semplicemente aspettare che arrivino le “interpretazioni” del brief da parte dei creatori. Il brand sceglierà di utilizzare solo i contenuti che preferisce e collaborerà solo con gli influencers che li hanno prodotti.

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