Boris Becker coperto da una montagna di debiti deve 61 milioni di euro ai suoi creditori

 La montagna di debiti di Boris Becker è più grande di quanto si potesse immaginare. 54 milioni di sterline, pari a 61 milioni di euro, è la cifra complessiva richiesta da 14 creditori all'ex tennista, riferisce la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Il maggior creditore dell'ex tennista tedesco è l'uomo d'affari svizzero-tedesco Hans-Dieter Cleven, cui Becker deve 37 milioni di euro, poi banche private, società e qualche privato. Le richieste "sono contestate dal nostro cliente e in parte non reggeranno alla disamina del tribunale. Non si è nemmeno arrivati a chiedere l'asta giudiziaria per le memorabilia". Lo ha detto l'avvocato berlinese di Becker, Christian-Oliver Moser. Anche a lui Becker deve 18.000 euro.

Sembra ieri quando, sui sacri campi del All England Lawn Tennis Club, un diciassettenne tedesco dal fisico statuario, rosso di capelli, la carnagione bianca e punteggiata di efelidi, serve da sinistra una prima micidiale ed accompagna con lo sguardo le braccia al cielo, mentre calpesta l’erba con una serie di passi veloci, un po’ per arrestare la spinta che lo sta lanciando a rete, un po’ come se quel battere rimarcasse quanto pesante sia l’impresa che ha appena compiuto.

 Sembra ieri, e invece era il 7 luglio del 1985. Quel ragazzino capace di imporre la sua presenza facendo del suo impeto, del suo coraggio cieco e al tempo stesso lucidissimo, della sua impertinenza, della sua potenza, delle armi devastanti che lo avrebbero accompagnato per l’intera carriera oggi compie 45 anni.

Invece chissà, forse quando Boris Becker ripensa a quella splendente giornata, capace di generare due astri, uno in cielo ed uno in campo; la sente lontana, distante, quasi fosse un frammento, un residuo di una vita precedente. Perché da quel giorno la vita del campione tedesco ha iniziato a girare ad una velocità supersonica, ha perso di aderenza al suolo. Quasi fosse stato capace di riunificare la Germania prima della caduta del Murodalla sua prima vittoria a Wimbledon un’intera nazione lo ha stritolato per non mollarlo più. L’assedio però, era iniziato molto prima, quando ancora si allenava sui campi del Blau-Weis Tennisklub, il Circolo di Leimen, la cittadina che lo ha visto nascere; ed il Ministero della Pubblica Istruzione gli concesse una dispensa speciale, consentendogli di abbandonare la scuola dopo la Licenza Media, quasi che l’urgenza di fare di quel bambino prodigio un campione fosse davvero un priorità nazionale.

Boris Becker si è sentito usato, venduto, strumentalizzato. Tutto quell’interesse, tutta quella morbosità nei suoi confronti, lo hanno turbato provocandogli vere e proprie crisi di coscienza, sfociate in qualcosa di molto simile a delle manie di onnipotenza. Non voleva essere una leggenda, ha spiegato; “Poi ho pensato che le mie vittorie potevano far felici gli anziani, i poveri, gli emarginati. Per loro ho accettato di passare per idolo”Da Robin Hodd che dona emozioni al posto del pane e qualche moneta d’oro la metamorfosi è breve ed eccolo trasformarsi in un Martin Lutero risentito al cospetto della devozione con cui la stampa tedesca dà spazio a un suo infortunio piuttosto che alla Crisi del Golfo; per poi, con una velocità seconda solo ad un Arturo Brachetti, vestire i panni da Che Guevara e dirsi per nulla fiero di essere “cittadino di uno Stato che appoggia idee capitalistiche”; e ancora catapultarsi negli anni ’50 quando ad Hollywood era in auge il motto ‘vivi veloce, muori giovane’ per spiegare: “Avevo soldi, fama, auto, donne. Eppure mi sentivo infelice. Mi tornavano in mente le biografie di Marilyn Monroe e James Dean, di tante star che al culmine della celebrità avevano trovato la morte, magari suicidandosi”. Ed al suicidio, Boris Becker, ha confidato di averci persino pensato: “Una volta mi trovai ad un passo dalla finestra e pensai che bastava un passo e sarebbe finito tutto”.

Eppure, con il senno di poi, ripensando ai suoi modi al limite del teatrale, a quel portamento dignitoso, la schiena diritta, il mento leggermente alzato, quasi fosse un cavaliere uscito da un libretto musicato da Wagner, alla sua voce profonda che durante le premiazione teneva volutamente più bassa di un paio di toni come a voler avvolgere di sublime gravità le sue gesta; viene quasi spontaneo pensare che un pochino ci abbia ‘marciato sopra’.

Certo i problemi li ha avuti eccome con il fisco e con le donne in primis. Sarà che la Germania ha mal digerito il suo trasferimento a Montecarlo, mentre le donne a quanto pare gli hanno sempre corso letteralmente dietro. A partire dalla giornalista Costanze Wetzel che, divenuta amica della fidanzata di Michael Westphal (compagno in Davis di Boris e morto di Aids a soli 26 anni), ha iniziato la sua caccia a Becker cercando di passare come la sua nuova fiamma mentre in realtà non c’era mai stato nulla; per arrivare alla presentatrice televisiva Desiree Nosbusch che, dopo averlo invitato al suo talk-show, ha lasciato intendere che tra loro ci fosse del tenero. Simpatia che era sbocciata con la collega Susan Mascarin per lo meno finché non ha conosciuto Benedicte Courtin, una studentessa di legge che di fatto è stata la sua prima fidanzata ufficiale per almeno un anno e mezzo, spazzata  via a sua volta da Karen Schultz. A portarlo all’altare c’era invece riuscita la modella afro-americana Barbara Feltus, che gli ha dato due figli Noah Gabriel ed Elias; ma che lui ha tradito proprio la sera in cui, al settimo mese di gravidanza venne ricoverata d’urgenza in ospedale. La scappatella con Angela Ermakova, avvenuta in un bagno del Nobu Hotel, fa nascere una bambina, che anche il test del Dna riconosce come figlia del campione tedesco, e fa morire il suo matrimonio. Ma ‘non c’è pace tra gli ulivi’ e allora proprio quando pareva pronto ad impalmare la designer di gioielli Sandy Meyer Woelden, Becker cambia idea e sull’altare si presenta mano nella mano con una sua ex, Lilly Kerssenberg, la madre del suo quarto figlio. Quanto al versante fisco, nel 2002 viene processato per frode fiscale e condannato dal Tribunale di Monaco di Baviera a due anni di carcere con la condizionale. Il tutto mentre, non senza un pizzico di egocentrismo, confessa che dal 1987 al 1992 ha fatto uso di dosi massicce di pillole per combattere lo stress, che ha abusato di sonniferi per racimolare qualche ora di sonno, che il solo rimedio contro la solitudine erano l’alcol e, naturalmente, le donne.

 

Comunque sia, il nome di Boris Becker è prima di tutto legato al tennis, a quello sport che qualcosa gli avrà indubbiamente tolto, ma ancora di più gli ha dato. Dopo il primo clamoroso trionfo a Wimbledon, Becker si ripete nel 1986, battendo in finale il numero uno del mondo, Ivan Lendl. Il terzo titolo arriva invece nel 1989 quando, dopo aver infranto i sogni di gloria di Lendl in semifinale, si prende la rivincita su Stefan Edberg, che lo aveva battuto l’anno prima e lo sconfiggerà di nuovo l’anno dopo. Sempre nel 1989, ‘Bum Bum’ sfonda tutte le difese di ‘Ivan il terribile’ e fa suoi per la prima ed unica volta gli Us Open. I duelli con Ivan Lendl e Stefan Edberg rappresentano una costante della carriera di Boris Becker, vuoi per il valore dei contesti in cui sono avvenuti, vuoi per l’intensità che quasi sempre li ha contraddistinti. Memorabile è la finale del Master 1988 disputata sui campi in sintetico indoor del Madison Square Garden di New York quando, dopo quasi cinque ore di battaglia, sul match point del tie-break decisivo, il net parteggia per il tedesco e Lendl deve cedere il passo. Gli altri due Slam della sua carriera Becker se li aggiudica in Australia: il primo nel 1991, anno in cui per la prima volta in carriera riesce a diventare numero uno del mondo; il secondo nel 1996. Tra le due vittorie, manco a dirlo gli è successo un po‘ di tutto, compreso il divorzio da Bob Brett, il coach che insieme a Ion Tiriac lo aveva accompagnato nelle tappe più importanti della sua marcia verso l’empireo del tennis.

Il solo Slam che manca a Boris Becker resta il Roland Garros, dove non è mai arrivato oltre le semifinali, e sulla cui superficie non è mai riuscito ad aggiudicarsi alcun torneo, pur arrivandoci ad un passo nel 1995 a Montecarlo, quando nella finale contro Thomas Muster ha sciupato tre match point.

L’intolleranza alla ‘terra rossa’ non mai stata vissuta da Becker come un’ossessione, come invece lo è stata l’erba di Wimbledon per Lendl ma, per quanto diversi in una cosa erano pressoché identici: entrambi odiavano perdere. Differente era pure il modo di esorcizzare lo spettro della sconfitta: se il cecoslovacco è passato dal glaciale self-control di inizio carriera a vere e proprie sfuriate, Boris Becker ha cercato di demolire con il suo ‘atteggiamento’ chiunque osasse frapporsi fra lui e il suo ruolo di primadonna, fra lui e le sue vittorie. Il capitano di Davis Günther Bosch ha dichiarato che da ragazzino Boris reagiva molto male alle sconfitte ma che “a differenza degli altri bambini che odiavano gli avversari, lui odiava se’ stesso”. Prenderlo in parola non è così semplice. Andre Agassi ha raccontato che durante un match che li vedeva opposti agli Us Open, il tedesco avrebbe lanciato occhiate nella direzione del box in cui sedeva Brook Shields, allora moglie dell’americano, con la sola intenzione di farlo innervosire. Michael Stich, insieme a cui Boris  ha vinto l’oro in doppio alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992, ha spiegato invece come “Per Boris, gli altri giocatori tedeschi erano solo accessori. Venivano tutti dopo di lui, gente che non era al suo livello. La maggior parte dei giocatori tedeschi, me compreso, non ha mai avuto il rispetto che meritava”.

Curiosamente, le quattro finali Slam perse dal tedesco si sono tutte disputate sul Centre Court, il luogo che Boris Becker considerava ‘il giardino di casa’; ed a sconfiggerlo sono stati due volte Stefan Edberg, una Pete Sampras ed una proprio Michael Stich. Becker però, nei confronti di Wimbledon non si dimostra ingrato e il 30 giugno 1999 gioca l’ultimo match della sua carriera proprio sul suo centrale. La travolgente parabola dell’ex bambino prodigio si chiude lì, sul campo che lo aveva ‘generato’ e che fino alla fine lo ha considerato una sorta di figlio.

Dopo aver sfidato a scacchi il grande Garri Kasparov, dopo una biografia, dopo aver abbracciato la fede vegetariana, dopo la passione per il poker; Boris Becker si è presentato agli ATP World Tour Finals nelle vesti di commentatore per Sky Sport e non è da escludere che in futuro possa sostituire Patrik Kuhnen nel ruolo di capitano della nazionale tedesca di Coppa Davis. La Federazione tedesca lo corteggia apertamente e probabilmente per Becker la tentazione è grande, ma forse tra l’ex numero uno del mondo e la sua Germania ci sono screzi, ci sono ferite che non si sono ancora completamente rimarginate e che solo la medicina del tempo potrà sanare.

Già, il tempo, quel feroce meccanismo che tutto macina e che comunque non è riuscito ad estinguere non solo il ricordo ma proprio l’essenza agrodolce di Boris Becker, un uomo fatto di chiari scuri, a tinte forti, che ha lasciato in tutti coloro che non hanno, che non abbiamo, tifato per lui uno strano sapore in bocca. In fondo, a ripensarci, come sarebbe stato bello tifare per quel ragazzo che si atteggiava da invincibile, ma che dietro a quell’orgoglio esasperato c’era solo il desiderio di essere amato per quello che era veramente.

 
 
 
 
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