Mvt- Il campione trentino di sempre Nuova sfida: Nones vs Torboli Votate il vostro atleta del cuore

Nuova sfida tra campioni del nostro sondaggio “Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi”: oggi è tra il velista Gianni Torboli e lo sciatore Franco Nones.

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IL RIVANO OLIMPICO 1996

«Ai miei tempi non c’era ancora l’Optimist per iniziare la scuola di vela. Alla Fraglia di Riva c’era un piccolo Fly Junior, una barca perfetta per iniziare. IL mio primo insegnante è stato Mauro Bonometti.  Il problema era che tutti volevano fare il timoniere perchè fin da allora la mentalità (sbagliata) dei genitori è che volevano vedere il figlio diventare campione del mondo dal lunedì al venerdì»: pillole di saggezza che vengono da Gianni Torboli, uno dei più grandi velisti d’Italia e del mondo, che le barche le ha costruite e poi dirette da tattico o da skipper, oppure anche facendo parte di equipaggi straordinari come il Soling che diresse con i fratelli Claudio “Ciccio”, il cui figlio Matteo è membro dell’equipaggio dell’avveniristica Luna Rossa pronta alle sfide del 2021, e Mario Celon di Malcesine.

«Con loro arrivammo secondi al Mondiale Soling di Punta Ala - prosegue Torboli - e poi, una delusione tremenda, a Savannah alle Olimpiadi del 1996 all’ultima regata per qualificarci al Match Race delle ultime cinque eravamo terzi. Sentivamo profumo di medaglia ma andò male. L’opportunità saltò, ci oltre il 10° posto e restammo fuori. Comunque sono felice di aver partecipato ai Giochi. Uno dei miei modelli ed amici, il grande triestino Mauro Pelaschier, mi disse più volte: «Se non fai almeno un’Olimpiade non sei nella storia». E con lui, assieme ad altri due miei idoli del calibro di Albarelli (bronzo ai Giochi di Città del Messico) e Fravezzi, ricordo qualificazioni olimpiche d’alto livello all’Argentario e in Sardegna, sul Finn, la classe singola che frequentai per 15 anni. Alla fine la spuntò Pelaschier che centrò i Giochi di Monaco di Baviera nel ‘72».

Era ben strutturato e massiccio (90 kg) e Gianni divenne un professionista della vela raccogliendo successi su Star, Asso 99 e Soling. «Ero prodiere e timoniere, su barche più grosse venni chiamata come addetto alle vele principali, il fiocco e la randa, ma anche per altre mansioni. Un’esperienza eccezionale è stata la partecipazione alla Coppa America con “Mascalzone Latino” dell’armatore Onorato, su “Italia” e con colleghi di grande spessore quali Favini e Vascotto, con Arrivabene da skipper. Facevo il tailer e curavao la randa, poi sul gommone per l’assistenza alle vele».

Si vedrebbe sull’”astronave” Luna Rossa Prada-Pirelli, questa barca avveniristica dello skipper Sirena? «Adesso la barca è veramente una Formula 1, i foil non è che mi entusiasmino, ormai le innovazioni tecnologiche e con il computer stanno sostituendo le tecniche di regata. Magari una volta eravamo più lenti ma la vela era più “umana”». Il Giro d’Italia organizzato da Cino Ricci lo vide spesso protagonista: «Su 14 partecipazioni ne vinsi sei con equipaggi che costruivo e che mi davano affidamento. Le barche si chiamavano “Riva del Garda” e “Trentino”. Mi sento sì un lupo di mare, ma anche e soprattutto di lago. Il mio Garda che è un campo di regata famoso in tutto il mondo. Di questi tempi aiuto anche il brasiliano Scheidt, che abita a Torbole. A Tokyo Robert sarà alla sesta Olimpiade dopo 2 ori e 2 argenti».


ORO STORICO A GRENOBLE 1968

Quando prende la parola, parte come un fulmine e non lo fermi più. Chiedete, tanto per avere una conferma, ad un’espertissima presentatrice tv come Ilaria D’Amico o al direttore della Gazzetta Andrea Monti, in difficoltà nel contenerlo quando, nelle prime due edizioni del Festival dello sport, ha impugnato il microfono  aprendo il libro degli aneddoti e dei ricordi. Franco Nones, 79 anni già compiuti, è svelto e infaticabile di parlantina tanto quanto lo era sugli sci stretti.

Fu il più veloce nella 30 chilometri olimpica di Grenoble del 1968 ed entrò nella storia: «Fui il primo non scandinavo a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi nel fondo». Di fronte a quell’onore e a quel metallo luccicante che ancora brilla in uno dei due hotel costruiti nella sua seconda vita - quella di commerciante e albergatore di successo - tutti gli altri titoli in bacheca quasi scompaiono. E sì che sarebbero tante le vittorie da raccontare del pioniere dello sci nordico nelle terre alpine.
«Io - racconta - non ho mai valutato una persona per quello che ha vinto ma per quello che ha fatto nella sua vita. Modestamente sono stato tre volte vicepresidente del comitato organizzatore dei Mondiali di Fiemme, ideatore del Trofeo Topolino di fondo: mi ricordo che andai io alla Mondadori a Milano a chiedere se ci concedevano il nome. Inoltre diedi sostegno all’idea della Marcialonga e posso fregiarmi del fatto di essere stato l’unico non francese invitato alla festa per l’anniversario dei 50 anni delle olimpiadi di Grenoble».

Nones racconta (e chi lo ferma?) che la sua non fu un vero e proprio colpo di fulmine con gli sci, «piuttosto il fatto che da noi si facevano le gare in ogni paese e non si poteva non partecipare». Lui, però, le vinceva tutte o quasi, compreso il Trofeo Laurino. Ai campionati italiani del Csi lo notarono i tecnici e nel 1960 fu arruolato nel Gruppo sportivo della Finanza.

«Prima - spiega - d’estate correvo in bicicletta con Zandegù, Motta, Enzo Moser giù per il lago di Garda. In salita ero forte, ma poi in discesa cadevo una volta sì e una anche. Così, quando entrai in Finanza smisi». Piantò lì con i pedali, ma iniziò a vincere sulla neve, imitando gli assi scandinavi tanto nell’allenamento quanto nell’alimentazione. Oltre all’oro olimpico, ai vichinghi il grande Franco da Castello di Fiemme rubò loro anche la giovane Inger («la più bella cosa che mi è capitata nella vita»), da più di 50 anni al suo fianco. «Credo - racconta - che nella mia vita quello che potevo fare l’ho fatto. A partire dalla famiglia ho avuto tante gioie e purtroppo anche una grande perdita. Il mio sogno era di avere un alberghetto, e ho costruito due 4 stelle. Sono stato uno dei più grossi rivenditori di sci di fondo in Italia, e ancora oggi mi invitano in Scandinavia. Ora l’ultimo desiderio sarebbe quello di godersi ancora qualche anno senza questo maledetto virus tra le scatole».

Dura la quarantena? «Sono fortunato perché qui a casa ho una grande terrazza. Faccio 190 passi per percorrerla e godo di un bel panorama. Per il resto è tutto fermo: alberghi, negozi. Chissà se riapriranno quest’estate».

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