Mvt - Il campione trentino di tutti i tempi Ottavi: Nones vs Bettega Votate il vostro atleta del cuore

di Daniele Battistel

Il nostro sondaggio #Mvt, per scegliere il campione trentino di sempre, è approdato agli ottavi di finale. Sedici grandi atleti sono rimasti in gara, e la prima nuova sfida vede il confronto tra due autentiche leggende, il campione olimpionico di sci nordico Franco Nones e il compianto mago del rally Attilio Bettega. I due campioni sono raccontati dalla moglie Inger e da Ninni Russo, ds Lancia Corse.


 FRANCO NONES

«Mamma mia, mi chiedete qualcosa di impegnativo, perché in base a quello che dico lo votano oppure no». Disturbiamo Inger, la signora Nones, durante una partita a Scala Quaranta con Franco. «Aveva in mano tre matte, per fortuna è arrivata questa telefonata» racconta. Par di capire che Franco non ami perdere nemmeno a carte. «In effetti questo è stato sempre uno dei suoi segreti» prosegue Inger, nata a Stoccolma ma trasferitasi in valle di Fiemme per amore 50 anni fa.

Quando conobbe Franco?

«Ci conoscemmo a novembre del 1967 in Svezia, a Volodalen dove c’era il centro di allenamento che frequentava anche la Nazionale azzurra. Io ero lì per caso, visto che abitavo a 600 km di distanza, ma era emersa la possibilità di un lavoro e non ci pensai due volte»

Cosa la colpì?

«Era un bel ragazzo, simpatico ma anche molto riservato. Era molto scrupoloso negli allenamenti e quindi non lo vedevi in giro la sera, finché un giorno gli chiesi se poteva prestarmi gli sci. Al campo di allenamento lui e i suoi compagni mi raggiunsero e poi mi doppiarono, poi mi chiese se ero stanca e mi tirò con i bastoni fino all’albergo».

Come comunicavate all’inizio?

«Subito in italiano. Io lo conoscevo perché avevo lavorato un paio di anni con mia zia che era guida turistica in Liguria».

Senta, Franco è ancora l’uomo che conobbe al Polo?

«È ancora lui. Ovviamente siamo invecchiati, forse siamo meno belli, ma il carattere è sempre quello: energico, vulcanico, sempre attivo. Anche anche adesso vuole andare ad aiutare in albergo».

Qual è stato il segreto del campione Franco Nones?

«La capacità di resistere a tutte le vicende della vita: in questo è stato veramente un campione. Ha avuto tante difficoltà fisiche, ma le ha sempre superate con un’incredibile energia che riesce anche a comunicare agli altri».

Domanda scontata: la vittoria più bella di Franco?

«Facile, la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Grenoble. Peccato non essere stata presente. Io ero in Svezia e ho seguito la gara alla tv. Quando vinse brindammo e facemmo festa in albergo. Poi scrissi e gli mandai un telegramma. Altro che whatsapp».

E se invece c’è da ricordare una sconfitta?

«Rimasi male per il fatto che Franco non vinse la Vasaloppet in Svezia nel 1969. Era forte, molto determinato e poteva vincere perché era nel gruppo di testa fin quasi a fine gara. Venne trattato male, gli svedesi non gli diedero da bere e alla fine dovette cedere».

Signora Inger, appello al voto: perché sostenere Franco Nones?

«Per tutto quello che ha fatto per lo sci di fondo e lo sport italiano. È stato il primo non nordico a vincere una medaglia d’oro nel fondo alle Olimpiadi. Ha portato il nome dell’Italia in giro per il mondo e soprattutto nei paesi nordici. Ma anche per l’importanza che ha avuto la sua vittoria e per il risalto che ha dato alla valle di Fiemme».


ATTILIO BETTEGA

«I trentini debbono essere orgogliosi d’aver avuto un campione di questo calibro. Figure così non ci sono nel mondo del Motorsport. Un grande, in tutti i sensi, che merita ogni momento d’essere ricordato. È un accavallarsi di emozioni. Mi sono passate per la testa mille episodi».

Ricordare Attilio Bettega con Ninni Russo, direttore sportivo del Gruppo Fiat Lancia Corse dal 1979 al ‘90, è illuminante. Già, ma perché dopo 35 anni si parla ancora d’un gigante al presente?
Com’è stato il primo incontro con Attilio?  «Non c’è mai stato un primo incontro, ma un lungo frequentarsi dall’inizio alla fine. Una grande amicizia, anche fuori dal lavoro. Attilio era una brava persona. Vuol dire tutto. Riservato all’inizio come lo è la gente di montagna. Sincero, grande professionista, fantastico pilota. Non aveva atteggiamenti negativi ed era onesto. Schivo, modesto e terribilmente veloce in ogni situazione. Non sapeva dire bugie ed era un talento naturale. Semplicemente non è riuscito a mostrarlo perché il destino se l’è portato via. Ma credimi, era destinato sicuramente a vincere il mondiale. Rappresentava l’Italia nel mondo dei rally ed ha lottato contro avversari quali Alen, Röhrl, Vatanen e Munari. Avversari, non nemici».

È un fiume in piena Russo, che descrive il pilota di Molveno con una valanga di aggettivi fantastici. Parole di stima, affetto verso colui che il ds reputa un vero Uomo, scritto maiuscolo. «Eccezionale marito e padre. Dai, basti ricordare il trentennale dalla sua perdita nel 2015 a Molveno. C’erano tutti. Piloti, navigatori, preparatori, meccanici, giornalisti ed i suoi tifosi. Mai vista una cosa simile dopo tanti anni. Perché? È stato un grande. Una leggenda».

Ricorda qualcosa dell’ultima gara?  «Come fosse stato ieri. Attilio era infatuato della Corsica, amava quell’isola. Quell’anno Jean-Marie Balestre, presidente della Fia, aveva proibito ai team ufficiali di sorvolare le speciali con l’elicottero. Era al volante della Lancia 037 Gruppo B e via radio sapemmo dell’incidente, prova sospesa e si decollò immediatamente per poi atterrare a pochi decine di metri dalla vettura. Il suo navigatore “Icio” Peressinot era frastornato. Attilio ha picchiato. Poi l’immenso dolore. L’ultimo atto fu riportarlo a casa. Siate orgogliosi di lui, sempre».

Nell’82, Bettega in Corsica, al volante della Lancia 037 sbatte e si frattura entrambe le gambe. Dopo l’intervento fu dirottato a Verona per la rieducazione. Giovanni Musatti racconta che il collega Ninni Zambito ricevette una telefonata. «Pronto, sono Attilio Bettega». Lui pensando a uno scherzo, rispose: «E io sono Markku Alen». Il telefono riprese a suonare. «Mi scusi dottore, ma io sono veramente Bettega». Il pilota arrivò ed era in condizioni critiche. «Sofferente, - conclude Musatti - ma con una voglia straordinaria di recuperare. Era caparbio, forte. Nacque una fantastica amicizia. Posso dire che Attilio non è mai sparito. I ricordi dei momenti vissuti assieme sono troppo intensi».

 

Tabellone parte sinistra

Tabellone parte destra

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