Dai social market al fitness su misura 10 cambiamenti sociali in atto
Andare in vacanza a vent’anni con la famiglia (genitori, parenti) invece che con gli amici senza essere additati come ‘bamboccioni’ è possibile, è diventato cool. Idem non fumare e non bere alcolici. Avanza uno stile di vita clean (pulito) che include i vegani e gli amanti dello yoga, la vita in famiglia e la condivisione, l’affitto (dall’auto alle biciclette, dagli abiti all’elettronica alla musica alla lettura… tutto è ‘streaming’) invece del possesso.
Cosa cambia nell’identikit dei consumatori è descritto nel report sui trend globali di Euromonitor International, a cura dell’analista Alison Angus. Nuovi soggetti (dai giovani nomadi digitali di 20 anni ai figli del baby boom) si affacciano sul mercato occidentale e le imprese non sono ancora del tutto pronte al cambiamento.
I consumi si fanno ‘on-demand’ e perfino a misura di DNA (‘Io sono speciale’ altro nuovo motto valido soprattutto nel campo del fitness). Cambia così il modo di fare la spesa che include anche chi non arriva a fine mese perché prevede, oltre ad una maggiore diffusione di discount e banchi alimentari, la nascita dei ‘social supermarket’ con prodotti difettosi a prezzi dimezzati.
Ecco i principali cambiamenti.
Clean-life e vita in famiglia
Lo stile di vita si fa minimalista e moderazione e integrità sono i paletti del nuovo shopping sobrio e ‘pulito’. In particolare per i consumatori fra i 20 e i 30 anni che sono cresciuti nell’ultima crisi, col terrorismo e i problemi della politica internazionale. Sono il movimento ‘Clean lifers’ con forti ideali e credo. Sono meno tolleranti, più scettici e pensano di poter fare la differenza con le loro scelte e azioni. Dicono ‘no’ all’alcol (tanto che le vendite di birra analcolica cresceranno del 150% entro il 2012 mentre quelle della birra con alcol resteranno grossomodo stabili), alle abitudini poco sane, non usano prodotti testati sugli animali e strizzano l’occhio allo stile di vita vegano e allo yoga, che percepiscono come puliti e rispettosi. Preferiscono spendere soldi in ‘esperienze’ che comprare. Con la famiglia di origine non ci sono più conflitti e tutto si fa insieme ai parenti. I ragazzi restano a casa più a lungo in tutta Europa e non solo perché i costi di affitti e acquisti immobiliari si sono fatti proibitivi. Si sta in famiglia non solo perché si è costretti, anche per piacere tanto che con i parenti si fanno anche le vacanze. I ragazzi fra i 20 e i 30 anni partono con genitori, nonni e zii per le ‘genervacation’.
Condivisione al posto della proprietà
Share, il nuovo motto. Condivisione, streaming, scambio, baratto, affitto. Tutto si usa insieme, si presta, si paga a frazione. Il possesso ha perso smalto, ameremo sempre di più la libertà di non avere ma provare, insieme agli altri. Che sia l’automobile, la bicicletta, la casa per le vacanze, gli spazi sociali, la musica tutto si condividerà con lo zampino di internet. Dai canali di successo planetario com Lyft e SnapGoods l’economia a richiesta dà valore aggiunto ai beni. Tutto si affitta già grazie alla numerose App di successo, incluse le faccende domestiche (su TaskRabbit), abiti, giocattoli, attrezzi, accessori per lo sport e si condividono anche gli animali domestici (su BorrowMyDoggy ci si aiuta per la gestione dei pets). La percentuale di chi usa streaming per ascoltare musica col cellulare è passata dal 31% nel 2016 al 36% nel 2017. Nel Regno Unito il 46% dei millennials affitta beni come attrezzi per lo sport, macchine, elettronica e abiti ma la febbre dello sharing contagia anche altri paesi come l’India (Rentomojo per mobili e accessori casa), la Cina (Mobike e Ofo per il bike-sharing) e la Nigeria (GoMyWay per il car-sharing).
Attivismo e hashtag per fare la spesa di tutti i giorni
I movimenti come #JeSuisCharlie sull’attentato terroristico alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo oppure #MeToo sugli scandali degli abusi sessuali che hanno coinvolto il mondo del cinema hanno indotto i cittadini del mondo ad alzare la voce in modo collettivo sui social anche per fare shopping. Twitter da solo genera una media di 125 milioni di hashtags al giorno, idem Instagram YouTube, Tumblr, Facebook e così via. Chi non apprezza prodotti e servizi in commercio, così come fenomeni di malpractice, si fa sentire con un hashtag e ci sono anche piattaforme che rafforzano e supportano reclami e rivendicazioni con petizioni come change.org e avaaz.org.
Una volta bisognava scrivere all’ufficio reclami o telefonare al numero verde sperando di essere ascoltati, oggi l’opinione dei consumatori ha tutto un altro peso. Il 46% degli americani ad esempio dice la sua in internet sui brand, il 65% fa ricerche online e dà una occhiata alle recensioni degli altri prima di comprare online e se la società produttrice non risponde in modo circoscritto, rapido e convincente viene boicottata dal 50% dei consumatori.
Io sono speciale perciò il fitness è a misura del mio DNA
Il DNA è la nuova parola magica in ambito fitness, benessere, salutistico e nutrizionale. Campioni di sangue, saliva, capelli vanno bene per fare analizzare il proprio codice genetico, nuovo passaporto per lo shopping. Una occhiata al DNA (internet pullula di kit fai da te) ed ecco che beni e servizi diventano nostri, più nostri. La genomica è il fiore all’occhiello delle imprese: uno dei più grossi nomi è 23andMe, company che fa l’analisi del DNA per dare informazioni sul proprio stato di salute e predire il rischio di avere alcune malattie temibili come sclerosi, Alzheimer e Parkinson. I brand aumentano di giorno in giorno, soprattutto nel campo wellness: si va da FitnessGene a DNAFit a Nutrigenomics che scodellano debolezze e metabolismo, intolleranze, carenze vitaminiche e così via.
Il futuro della genomica a misura di shopping vede un aumento di normative che freneranno un po’ il trend in nome di una maggiore e più solida riservatezza di dati sensibili ma anche un incremento di analisi genetiche per la perdita del peso, per dormire meglio e perfino per bere vino (come la app Vinome per scegliere la migliore annata e vitigni sulla base dei proprio profilo genetico).
Lavoratori ‘adattabili’ e co-working per i giovani nomadi digitali
Come fanno shopping i giovani nomadi digitali? Con stipendi stagnanti in molte economie occidentali (negli Stati Uniti, in Germania e in Giappone i compensi sono cresciuti dell’1 % dal 2011 al 2016, segnala Euromonitor) e l’instabilità dei posti di lavoro, anche i manager si adattano facendo le valigie per lavorare lontano da casa. Per loro internet sarà sempre più cruciale perché permette di fare affari in modo flessibile.
Una marea di laureati, specializzati, esperti disillusi dai modelli classici di economica adotta uno stile di vita iperconnesso e un modo di lavorare molto diverso da quello dei loro padri. Nascono piattaforme di condivisione, start-up, iniziative di business mainstream e a misura di cervelli in fuga. I nuovi manager non sono attratti dai brand che supportano ed esaltano il loro lavoro adattabile e le vite nomadi. Ha un successo planetario la piattaforma ‘Remote Year’ che connette milioni di giovani professionisti digitali di tutto il mondo e permette di organizzare impegni flessibili e fare business. Tutte le iniziative di co-working sono destinate a crescere ovunque.
Realtà aumentata per provare prima di comprare
Pokemon-Go è stato il pioniere. Il suo successo planetario ha stupito gli scettici ma la tecnologia r.a (realtà aumentata) sta trasformando anche il modo con cui si fa la spesa. Con telefonini sempre più sofisticati o una maschera sugli occhi potremo provare tutto senza muoversi né comprare e aprire il portafogli solo se veramente la prova ci convince. Dai trattamenti di bellezza, agli abiti, agli accessori e ai mobili ai viaggi sperimenteremo tutto stando comodamente seduti, come succede già nei negozi Sephora, Urban Decay e Ikea. Grazie alla tecnologia il gap fra percezione e realtà si va affievolendo e questo anno il 25% dei francesi, italiani, tedeschi, giapponesi, sud-coreani, inglesi e statunitensi ha esplorato mete e viaggi con la realtà aumentata prima di scegliere dove partire per le vacanze, attesta lo studio Euromonitor.
Consumatori scettici cercano shopping veritiero
Lo scetticismo dello shopping di massa di una volta ha partorito consumatori attenti alla verità: niente sotterfugi, tutta la filiera produttiva deve essere trasparente e fedele per farseli amici.
Certificazioni, codici etici, lista ingredienti, niente componenti di sintesi, niente test sugli animali, nulla di opaco. Un prodotto è anche come è stato fatto e chi l’ha fabbricato. Vincono le company locali, che producono con materiali ‘vicini’. L’esplosione dei piccoli birrifici di successo in tutta l’Europa è l’emblema di questo nuovo shopping veritiero. Fanno la birra artigianale con ingredienti e sistemi interamente visionabili e sono amici degli stessi acquirenti. Le company più attente stanno capendo il nuovo meccanismo e conquistano nuovi clienti mostrando sistemi interi di commercio online oppure aprendo le porte delle fabbriche ai consumatori ed ai curiosi. Catene di supermarket coinvolgono i clienti mostrando dove e come si riforniscono di pesce fresco su Snapchat (lo ha appena fatto la catena di supermarket francese Super U’s) e l’inglese Phannatiq che vende abiti etici ha mostrato l’intera tracciabilità dei suoi prodotti in internet nel 2017 in un campagna dal nome ‘This is how we do it!’.
Il prodotto lo progetto io, nasce l’I-designer
La crisi finanziaria e la sharing economy globale vede un’evoluzione del comportamento dei consumatori che vogliono partecipare nella creazione di prodotti e servizi. Nascono così i nuovi I-designers che chiedono colori, forme, accessori e particolari a loro misura per farlo proprio. Siamo alla personalizzazione più spinta che mai, le proprie preferenze e creatività sono al primo posto dello shopping. i più ricchi scelgono il colore dello yacht ma la personalizzazione dilaga per tutti i livelli sociali e fasce di prezzo. Dalla borsetta al gioco con i mattoncini, dalla bicicletta all’arredamento di casa, con l’aiuto di instagram, pinterest e dei social tutto si crea, si compone, si compra o si costruisce da sé per condividerla online.
Convivere per essere felici, da giovani e da anziani
Condividere spazi, risparmiare, essere felici. Dalla necessità degli studenti fuori sede ai giovani Erasmus, vivere insieme diventa un nuovo stile di vita che però interessa anche gli anziani. Il co-living sta contagiando le grandi città e i centri urbani. Studenti, ma anche lavoratori, artisti, colleghi e gruppi di amici avanti con gli anni dividono spazi e case anche per combattere il caro-affitti che affligge le principali metropoli. La convivenza nel 2018 interessa tutto il mondo e fa nascere iniziative e gruppi imprenditoriali specializzati come le americane WeLive e We Work con spazi per il co-working e co-living aperti recentemente e New York e Washington. Non mancano i villaggi da condividere per anziani facoltosi (soprattutto negli States). In Europa (Londra, Norvegia) ha successo la Older Women Co-housing (OWCH) dove si riuniscono intere comunità al femminile per over 60. In Italia anche aumento gli spazi di co-working nelle principali città.
I sopravvissuti, più poveri e il business dei social-supermarket
Il report Euromonitor include nei trend lo spaccato di chi, nella corsa alla ripresa economica, è rimasto indietro. Il gap fra poveri e ricchi è sotto gli occhi di tutti anche nei paesi industrializzati. Lavoratori sotto pagati, irregolari, anziani, vedovi e vedove e richiedenti asilo hanno problemi a mangiare anche nelle grandi e avanzate metropoli. Perciò aumentano le organizzazioni che distribuiscono pasti e i negozi con prezzi scontatissimi.
Negli USA il Feeling America possiede 200 ‘FoodBank’ che donano alimenti a oltre 43 milioni di bisognosi. In Canada se ne contano 800, in Germania 1.000 e i Francia e UK ce ne sono 2.000. In Francia una nuova legge obbliga i supermercati a donare ogni prodotto invenduto in scadenza e aumenta il numero delle catene discount in tutto l’occidente, in particolare in Europa. L’espansione di catene come Lidl e Aldi è mondiale.
Nascono ora anche i ‘social-supermarket’ che vendono prodotti scaduti, con etichette non corrette o confezioni danneggiate a prezzi scontati del 50% (come il danese Wefood e l’inglese Nifties). Le catene Pret a Manger donano i pasti invenduti a una catena di volontari in Inghilterra. In Italia si celebra la giornata nazionale della colletta alimentare, della fondazione Banco Alimentare che recupera le eccedenze alimentari e le destina ai più poveri.