Primo giorno di tre settimane di lockdown. L'Alto Adige si prepara a una lunga prova. Ma aumentano le contestazioni delle scelte di Kompatscher

Da oggi l’Alto Adige è tornato in lockdown, non senza proteste. La chiusura durerà ben tre settimane, secondo l'ordinanza firmata dal presidente Arno Kompatscher.

Dai ristoratori ai maestri di sci, molti contestano il nuovo giro di vite.

Fino al 28 febbraio sono chiusi negozi, bar e ristoranti, mentre le scuole sono in Dad, aperti invece nidi e asili. È vietato lasciare il comune di residenza se non per motivi di lavoro, studio, salute o esigenze di necessità (o sconfinare durante attività sportiva individuale).

Per le attività produttive si raccomanda l’utilizzo della mascherine Ffp2 e test periodici.

L’attività motoria all’aperto è consentita, dalle 5 alle 20, in forma individuale e nel rispetto delle norme su distanziamento (due metri da persone non conviventi) e mascherine. Come detto, muovendosi a piedi o in bicicletta, è possibile anche superare i confini comunali.

È consentita la vendita da asporto sino alle ore 20 e la consegna a domicilio sino alle ore 22. Le strutture ricettive non possono più ospitare turisti, ma solo per chi si sposta per lavoro.

Restano aperti gli esercizi che vendono generi di prima necessità, che comunque dovranno essere chiusi la domenica.

Da oggi medie e superiori sono in Dad, le elementari da giovedì 11 febbraio, mentre settimana prossima sono in programma le tradizionali ferie di Carnevale. Per tutti le lezioni in presenza riprendono il 22 febbraio, mentre commercio e ristorazione resteranno chiusi ancora una settimana. (ANSA).

Dal mondo politico ed economico sono arrivate aspre critiche per la nuova chiusura, ma secondo il virologo Bernd Gaensbacher il terzo lockdown era inevitabile. «Se si registrano 600-700 nuovi casi al giorno è evidente che le misure finora intraprese non sono sufficienti», ha detto.

L’unica arma vincente contro la pandemia - secondo il virologo - è il tracciamento. «In Alto Adige si possono tracciare 50 casi al giorno, figuriamoci cosa si riesce a fare con 600-700 casi giornalieri - ha osservato -. Quando salta il tracciamento la battaglia è persa».

Ma gli operatori commerciali considerano in larga parte eccessive queste nuove misure di chiusura, così come molti cittadini: a quasi un anno dall'inizio della pandemia in Italia, fra norme sempre in evoluzione e incertezze sul futuro, il quadro economico, ma anche psicologico e sociale, si fa sempre più pesante ed è l'altra faccia di una situazione sanitaria ancora preoccupante.

I vertici dell’associazione artigiani lvh.apa, che hanno partecipato al meeting online tra il presidente della Giunta Provinciale Arno Kompatscher e le parti sociali, si sono schierati contro una chiusura intersettoriale.

Il presidente lvh.apa Martin Haller ha proposto di effettuare piuttosto un numero ancor più elevato di test in particolare nelle scuole, dove purtroppo si registrano costantemente nuovi contagi.

Al fine di garantire una maggiore sensibilizzazione della popolazione, sarebbe al contempo importante un’analisi più approfondita sulle possibili fonti e sui possibili momenti di contagio.

«Contestualmente credo sia giusto appellarsi allo spirito di responsabilità di ognuno: evitiamo grandi assembramenti di persone anche nel tempo libero e negli incontri privati. Purtroppo è proprio in questi ambiti che si registrano i principali pericoli in termini di contagi», ha sottolineato Haller.

Il presidente di lvh.apa ha infine richiesto un sostegno per i settori maggiormente colpiti dalla pandemia: «Le perdite di fatturato in alcuni comparti, in primis nel turismo e nel commercio, sono molto significative. La provincia e lo Stato sono a tal proposito chiamati a supportare le aziende, mettendo a disposizione dei pacchetti di sostegno adeguati. Ogni settore è parte integrante del tessuto economico locale ed è collegato con gli altri in modo diretto o indiretto.
Proprio per questo ci dobbiamo attivare per preservare le attività economiche in tutti gli ambiti del territorio altoatesino».

Anche l’assessore provinciale Massimo Bessone della Lega esprime dissenso: «Rispetto la decisione presa in maniera democratica in giunta, ma non la condivido. Prevale la voce del presidente che firma e dell’assessore alla sanità che ha i dati sanitari alla mano, ma alla zona rossa avrei preferito misure più restrittive, maggiore responsabilizzazione dei cittadini, soprattutto nei comuni più piccoli e nelle valli».

«Non sono per lockdown o restrizioni forti, bisogna avere rispetto della malattia, ma pensare all’economia, al lavoro, alla psiche della gente», conclude Bessone.

Sul fronte politico, oltre alle crepe in maggioranza sulla scelta del lungo lockdown, va registrato che l’opposizione chiede una seduta urgente del consiglio provinciale, denunciando che «questo percorso zigzagante, con improvvisi cambi di direzione e il mancato coinvolgimento della popolazione e del Consiglio sono inaccettabili».

Kompatscher ha respinto le critiche - «non potevo informare il consiglio su una decisione che la giunta avrebbe preso ore dopo», ha detto - e non teme un eventuale voto di fiducia. «Sono cose che in pandemia capitano anche altrove», ha commentato. Pesa anche il fatto che proprio durante il ‘lockdown di Carnevalè dovrebbe finalmente decollare la stagione sciistica (in trentino salvo imprevisti si ricomincia il 17 febbraio), tranne però che in Alto Adige.

Anche il segretario generale Uil-Sgk Toni Serafini non ritiene né «adeguato, né praticabile, un lockdown come nel marzo 2020, quando cioè  non si conosceva il covid-19».

«Servono invece restrizioni mirate e soprattutto volte a ridurre i contatti fisici tra persone. Ribadiamo inoltre, che serve molta responsabilità e prevenzione da parte di tutti i cittadini e cittadine.
In attesa di una vaccinazione di massa, atteniamoci tutti alle misure base: distanza fisica, uso della mascherina e lavarsi spesso le mani. Uscire presto dal lockdown e dalla pandemia dipende anche dal nostro atteggiamento», conclude la nota.

Anche fra la popolazione sembra in aumento la critica alle disposizioni restrittive.

Ieri, domenica, centinaia di persone hanno riempito piazza Magnago, a Bolzano, per contestare il lockdown.

La manifestazione, organizzata dal gruppo “Freie Bürger - Cittadini Liberi",  ha visto la presenza di un pubblico eterogeneo: rappresentanti di diverse categorie economiche, molti abitanti delle valli, esponenti del secessionismo sudtirolese, cittadini contrari alle vaccinazioni e altri che denunciano le limitazioni delle libertà individuali e d'impresa decise per contrastare la pandemia.

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