Tremalzo, Scanuppia, i Lessini sotto l'attacco dei cinghiali

di Paola Malcotti

Buche scavate nel terreno laddove crescono endemismi unici al mondo e distruzione del suolo laddove specie botaniche rare, oggetto di studio da parte di esperti di mezza Europa, sono riuscite a sopravvivere per millenni alla presenza dell’uomo e all’antropizzazione degli ultimi 50 anni.

Accanto ai decadenti mostri di cemento che da due decenni graffiano con la loro sola presenza uno dei luoghi più belli, incontaminati e preziosi dell’arco alpino, inserito nei Siti di importanza comunitaria, nella Rete delle riserve e nella Biosfera Unesco, a deturpare i prati ed i dolci pendii verdi di Tremalzo con le loro scorribande distruttive sono - da tre anni a questa parte - pure i cinghiali.


La loro presenza - in valle di Ledro come a Scanuppia di Besenello e sui monti Lessini - è stimata ormai in diverse centinaia di capi, anche se si tratta di dati non facilmente aggiornabili considerata l’elevata capacità di questi animali di colonizzare un territorio e di riprodursi. Sui monti a sud della valle di Ledro, sono meno di una decina i cinghiali abbattuti tra gennaio e giugno di quest’anno dai cacciatori abilitati al selecontrollo. Numero che corrisponde alla metà rispetto a quanto soppresso nel 2012 (quando erano stati 19) e ben lontano dagli abbattimenti effettuati dal Servizio faunistico della provincia di Brescia in collaborazione con le Associazioni cacciatori dei territori dell’Alto Garda lombardo confinanti con la valle di Ledro e il Trentino sudoccidentale, che ogni anno arrivano alla soppressione di 300-400 esemplari (quasi 500 nel solo 2012, l’anno peggiore).

Un fenomeno preoccupante, considerato poi che la zona maggiormente interessata dalla proliferazione è quella della conca di Tremalzo, caratterizzata dall’eccezionale concentrazione di rari endemismi floreali, meta obbligata per botanici e naturalisti, nonché luogo di passaggio per numerosi uccelli migratori e di nidificazione di specie in via d’estinzione come il gallo cedrone, il gallo forcello e la coturnice. Specie di cui - assieme a ghiande, frutti, bacche, tuberi, radici e funghi - questo onnivoro è ghiotto.

«Nonostante la situazione sui monti ledrensi - interessati da un processo di migrazione senza sosta e senza precedenti dal vicino bresciano, dove questi ungulati sono stati introdotti illegalmente - sia nettamente migliorata rispetto a tre anni fa - spiegano dalla Sezione forestale - i danni che i suidi arrecano di continuo ai pascoli in quota rimangono importanti».

Bastano i soli numeri degli abbattimenti effettuati in provincia di Brescia per rendere l’idea delle dimensioni del fenomeno, che si riflette in maniera distruttiva sui territori confinanti. Come la valle di Ledro appunto, dove sistematicamente da maggio all’arrivo della prima neve i cinghiali arrecano molti danni ai pascoli di alcune malghe a Tremalzo, Giù, Vil e passo Nota, mettendo in difficoltà pure l’attività della monticazione dei bovini e quindi l’economia legata all’allevamento, all’alpeggio e alla lavorazione dei prodotti di malga. Scavando con il grugno alla ricerca di cibo, in una sola notte un gruppo di cinghiali riesce infatti a rovinare anche qualche centinaio di metri quadrati di terreno. Rendendolo simile ad un Groviera.

Si tratta invero di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: durante il giorno i cinghiali riposano in buche nel terreno che essi stessi scavano tra i cespugli e per questo risulta difficile riuscire ad avvistarli.
Durante la bella stagione si cibano di vegetali, raspando in continuità il terreno, devastandolo; nel corso dell’inverno la loro disastrosa attività invece si riduce a causa della presenza del manto nevoso ma, se ne trovano, si cibano anche di carcasse di altri animali. Sono bestie molto prolifiche e il loro tasso di riproduzione è tra i più elevati nei mammiferi: le femmine adulte sono in grado di partorire 6-7 piccoli al colpo, anche due volte l’anno.

Ecco perché la popolazione di questi suidi è aumentata così rapidamente in poco tempo e in modo tale da rappresentare oggi una delle più diffuse sui monti ledrensi. Il rischio è però che il cinghiale diventi un animale presente non solo in quota ma anche nel fondovalle, dove - soprattutto nelle Giudicarie - ha già iniziato a spostarsi in cerca di cibo.

«Ecco perché ancora nel 2012 è stato approvato un documento sulla gestione di questi ungulati - spiegano dall’Ufficio faunistico della Provincia - e la valle di Ledro è stata inserita tra le principali aree interessate: lo scopo è quello di mettere in atto strategie di controllo e, in collaborazione con i cacciatori ledrensi che hanno sostenuto e superato un esame specifico, contrastare la proliferazione dei suidi».

Attività che in Trentino - a differenza del Bresciano dove i cacciatori possono avvalersi di cani da caccia e segugi, che oltre a stanare i cinghiali svolgono significative azioni di disturbo - non è così semplice, a causa della normativa che limita l’abbattimento e risulta insufficiente a riequilibrare il sistema. Un sistema delicato, che dopo esser sopravvissuto alle glaciazioni, alle guerre, alla presenza dolce dell’uomo, tra ruderi decadenti, cemento e cinghiali ogni anno che passa rischia sempre più di essere compromesso, se non addirittura di scomparire.

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