La storia di Chiara Angeli, in lotta contro il linfoma

di Elena Piva

Mentre discutiamo sui lati positivi e negativi di una mascherina protettiva, dimentichiamo le vere privazioni della vita. Le ha conosciute e combattute la sedicenne Chiara Angeli, che tre anni fa ha sconfitto un linfoma “fluttuante”. Campionessa italiana di Yoseikan Budo nel 2016 per «ASD Dojo Club» di Arco, Chiara vive a Dro e frequenta l’istituto «G. Marconi» di Rovereto, indirizzo meccatronica. Ama disegnare, andare in bicicletta e fare shopping, ma anche camminare in montagna e guardare serie-tv sotto le coperte, quando impazza l’inverno. A 13 anni però la sua vita è cambiata, radicalmente. Il 21 aprile 2017, durante controlli di routine, la dottoressa ha notato qualcosa di strano: un campanello d’allarme che ha portato a biopsia e PET RM. L’impensabile: Linfoma di Hodgkin, un tumore ostico; “fluttuante”, come lo definisce Chiara. L’8 maggio il primo ciclo di chemio ha dato il via al suo vortice di cure tra Padova e Trento, senza mai separarsi dal coraggio di lottare.

Com’era scandita la tua quotidianità prima della diagnosi?
«Le giornate tipiche di una ragazza qualsiasi: scuola, amici e praticavo Yoseikan Budo».
Cosa ricordi del momento in cui la battaglia ha avuto inizio?
«Credevo di essere in un film, in un mondo parallelo. Non ho realizzato subito la situazione, tutto quello che mi veniva detto rimbombava nella mia testa, come fossi stata sott’acqua. Mi sono chiusa in me stessa, desideravo restare sola. Cominciata la chemio ho sentito la necessità di avere qualcuno al mio fianco. La mia famiglia mi ha sempre supportata e mi tiene tutt’ora per mano».
Cosa significa ricevere una simile notizia a 13 anni?
«Fatichi a comprendere la gravità. Ero infatti più sconvolta per gli effetti collaterali, come la perdita dei capelli e l’aumento di peso. Non avevo ancora colto la possibilità di non superare la malattia e raggiungere la fine dell’anno. Provavo tristezza e solitudine, la debolezza delle difese immunitarie non mi permetteva alcun incontro. A volte tanta felicità, grazie alla mia famiglia e ai miei migliori amici che chiedevano ogni giorno come stessi. Non c’era spazio per la rabbia, non sarebbe servita né avrebbe aiutato a vincere il male. Scrivevo per ricordarmi la normalità, facevo puzzle e disegni».
Quali sono stati i momenti più significativi?
«Mamma mi accompagnava e mi seguiva ovunque in ospedale; mia sorella restava a casa con me, invece di uscire con gli amici e il suo ragazzo; papà mi portava via la mia mente grazie a battute e film comici. I momenti positivi li devo a loro, nonostante li trattassi male per via degli sbalzi d’umore provocati dai farmaci. Purtroppo, tutto dipendeva da me e dalla medicina. Trovare la forza per andare avanti era compito mio. Parte di essa la devo al mio maestro di Yoseikan Budo, i dottori hanno sottolineato quanto lo sport, la costanza e la disciplina abbiano contribuito».
Dopo qualche mese, il tuo sorriso è tornato a splendere…
«A settembre di tre anni fa il dottore ha confermato la guarigione. Non stavo nella pelle, ma la gioia più grande è stata vedere tutta la famiglia compresi nonni, zii e cugini, piangere di felicità. Oggi vedo la vita in maniera differente grazie a quello che ho passato. Sotto alcuni punti di vista, è stato positivo. Ho scoperto chi tiene a me e sono maturata parecchio, in breve tempo. I controlli dureranno dieci anni, a Trento eseguo gli esami e a Padova svolgo la visita di controllo che mi assicura sia tutto a posto. Non sono mai preoccupata, sento di stare bene. Non posso dire lo stesso di mia mamma, ogni volta si agita e non si tranquillizza fino al rientro a casa».
Cosa vorresti dire agli adulti?
«Non arrabbiatevi per il traffico, la fila alla casse, una taglia sbagliata. La vita deve essere vissuta con più serenità, al mondo i problemi sono altri».
Ai tuoi coetanei, invece?
«Godetevi questi anni. L’adolescenza è il periodo più bello della vita».

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