Il bleggiano professor Paolo Rocca, dall'Università di Trento alla cattedra in Cina

di Denise Rocca

Paolo Rocca, 39 anni, professore associato del Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione dell’università di Trento, dove coordina il team di ricerca Eledia, ha conquistato la Cina. O almeno, la stima del mondo scientifico che gli ha affidato una cattedra, per tre anni, alla prestigiosa università di Xidian, nella Cina centrale. Città nota al grande pubblico per ospitare quella meraviglia che è l’esercito di terracotta, dal punto di vista universitario si inserisce nelle top 20 del mondo. I rapporti fra la Cina e i ricercatori dell’Università di Trento sono costanti da almeno un decennio, con diverse università e l’impegno del professore Rocca è un ulteriore attestato di stima. Il gruppo Eledia collabora, per esempio con l’ateneo cinese nel progetto del più grande radiotelescopio al mondo, struttura avveniristica composta da 4.450 pannelli regolabili, con 500 metri di diametro, realizzato per studiare onde gravitazionali e fenomeni sismici.

Professor Rocca, cosa farà in Cina?
«Mi occuperò di design di sistemi radianti, ovvero antenne, e può essere che sviluppi progetti sfruttando la tecnologia del radiotelescopio che hanno a Xidian per esempio progettando sistemi di antenna per i CubeSat, questi satelliti di piccole dimensioni che fra le altre cose vengono usati per fornire connessioni internet».

Come ha accolto la notizia della cattedra?
«È una bella soddisfazione che un’università di quel livello, in questo settore parliamo della quindicesima al mondo nei ranking internazionali, mi abbia offerto una cattedra. Quando si arriva a Xidian si coglie subito la forza che hanno alle spalle e gli investimenti che sono in grado di fare in ricerca. Sono davvero grato di poter collaborare con loro».

Come si costruisce una carriera come la sua?
«Grazie anche ai colleghi. Perché è un team di ricerca, quello di Eledia, che ha nella collaborazione il suo punto di forza: ognuno mette da parte una parte della propria ambizione individuale per riuscire tutti assieme a fare i ricercatori, che non è un lavoro facile».

Ci sono dei consigli che si sente di dare a qualche giovane che sogna di fare il ricercatore?
«Direi essere curiosi e avere voglia di fare. Non è solo studio, bisogna trovare la strada giusta, avere anche un po’ di fortuna. Se il tipo di studio non garba, però, sarà molto difficile andare avanti: ci vuole della voglia di innovare, proporre e pensare a qualcosa di nuovo. Quella curiosità che ti spinge ad approfondire e ad amare le sfide: al nostro team sono state presentate delle problematiche da risolvere da grandi aziende che ci hanno permesso di trovare ambiti di ricerca interessanti per noi, nel campo dell’ingegneria la ricerca applicata è molto bella. E al contempo ci hanno consentito di avere borse di studio per dottorandi e post doc che permettono di progredire».

Quali sono le ultime frontiere del suo campo di indagine?
«Lo sviluppo sostenibile, sicuramente. Lo vediamo nella collaborazione con aziende grosse come Huawei. Se si muovono i giganti è un segnale che si vuole, ma anche si deve, procedere in quella direzione. Le richieste che riceviamo a livello di call europee e dalle aziende stesse ci dicono che l’attenzione è sul risparmio delle risorse. È sempre sviluppo, ma con l’imperativo di usare e sfruttare meno. Anche in Cina l’attenzione è salita, parlando con tanti colleghi ricercatori cinesi si nota una mentalità che avanza s questi temi, si sono resi conto del problema dell’inquinamento nelle grandi città e si affronta».

Che Cina è quella che ha conosciuto nelle sue collaborazioni?
«È un Paese “affamato”, più aperto ai ricercatori stranieri rispetto agli Stati Uniti, infatti i rapporti con loro sono più estesi. I cinesi stanno correndo in molti settori, decisamente ne campo dell’ingegneria».

Si trasferirà in Cina?
«Andrò là per dei periodi più lunghi rispetto ad ora, ma la mia cattedra rimane a Trento e le mie radici sono ben salde a Larido».

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