Virginia, sarta a 91 anni: “Aiuto mia nipote e faccio le coperte per il Kenya”
La bella storia arriva da Storo: “Ho fatto i vestiti per tante signore e numerosi abiti da sposa. Ho sempre cercato di trasmettere a tutti la mia passione”
STORO. Inossidabile come l'acciaio. Frase ardita per una signora? Può darsi. Tuttavia quando parli con Virginia ti frulla in testa questo paragone. Ha 91 anni Virginia, che di cognome fa Canetti, di casa (fin dalla culla) sta a Storo e di mestiere fa la sarta. Sì, fa, non faceva, la sarta. È vero, non lavora più come un tempo, e un po' se ne lagna.
E non perché le fa male una mano a causa di una caduta di tre anni fa, ma perché da quel lontanissimo 1953, anno in cui frequentò la scuola a Trento, il mondo è rotolato lungo un sentiero ripido. Anzi, continua a rotolare sempre più in giù. Per dirne una, da quel tempo il principe dell'abbigliamento è diventato il "pret-à-porter": il confezionato.
Alla sarta, tutt'al più, fai fare l'orlo delle braghe.«Braghe? Noi facciamo solo vestiti per donne. Niente uomini. Comunque adesso lavoro poco - si nasconde - preparo il lavoro per la nipote Viviana - che lavora con lei - e lè propio brava!».
Si ferma un secondo Virginia, poi prorompe nella lamentela: «Sai cosa c'è? Che non trovo più le stoffe. Per comperare una cerniera o una fodera bisogna andare a Lodrone (che per la cronaca dista più di cinque chilometri, ndr). Allora (inteso come un tempo che fu, ndr) facevo i tailleur, i vestiti da sposa. Ma tanti anni fa».
E' orgogliosa Virginia: «Sai quante donne hanno imparato sotto di me?». E via con l'elenco, come recitasse le litanie (ci scusiamo per l'irriverenza): «La Lucia, la Mariarosa, la Giannina... Alcune non sono neanche andate avanti a fare le sarte».
E adesso? «Mi piace lavorare a maglia. E poi facciamo le coperte per il Kenya».Ferma. Coperte in Kenya? «Certo. La lana ce la forniscono le donne. Mia nipote le assembla, quindi facciamo due giri ad uncinetto. Vengono uno spettacolo. Quando sono pronte le diamo all'associazione delle missioni, che le fa arrivare in Africa».
Quanto ci mettete a fare una coperta? «Eh, è un passatempo. Mentre guardo la televisione!». Vivace la Virginia, nella sua sartoria che ha la vetrina sulla via principale di Storo. «Non è più come una volta», ripete, pensando ai tempi in cui aveva sotto le sartine. Lei prendeva le misure alle clienti, tagliava la stoffa e affidava alle collaboratrici il confezionamento.
Ma ce la toglie una curiosità? Adesso ce n'è ancora gente che ordina vestiti? Sorride, ma tira fuori le forbici. «Sicuro. Ma se non le conosco le mando via». Ci pensa un attimo, poi si lascia andare a parlare di storesi emigrati a Parigi che quando tornano a casa vengono in sartoria. Infine: «La dottoressa... (la nomina). Le ho fatto il vestito della Cresima, poi quando studiava a Brescia. Andava a spasso, vedeva i modelli e mi portava la stoffa. Le ho fatto perfino il vestito da sposa. Ho qui ancora roba sua: stasera viene a misurarla, perché siamo ancora le sue sarte». Dal sorriso alla risata il passo è breve: «Come fai a mandarla via? E' il mio medico!».