«Attenti, si sta aprendo una voragine sociale»

I danni del Coronavirus visti da don Pellegrini

di Andrea Tomasi

 «Il Coronavirus a Natale e non solo. Il problema è l'incertezza: l'incertezza come stile di vita. La società si sta lacerando fra paura, paranoia, solitudine e chiusura. Poi arriverà la crisi economica: noi non siamo preparati e sarà veramente difficile uscirne. Le misure anti-Covid stanno causando la paralisi di un sistema. Ci sono persone che hanno raggiunto la soglia della povertà e non riescono ad arrivare alla fine del mese. Noi, nelle parrocchie, cerchiamo di fare il possibile, ma considerate il fatto che, con il venire meno delle messe, sono venute meno anche le offerte dei fedeli. Manca il denaro da mettere a disposizione di chi ha bisogno». È la vita nelle chiese della Val di Sole, la vita ai tempi del Coronavirus. A parlarci di queste comunità smarrite e impaurite è don Renato Pellegrini, 68 anni, sacerdote dal 1989, a capo di nove parrocchie: San Berardo, Piazzola, Pracorno, Terzolas, Samoclevo, Caldes, Bozzana, Cavizzana e San Giacomo.

Territorio ricco, quello solandro, tanto che è stato spesso raccontato nei manuali di sociologia, quale esempio di ricchezza registrata rapidamente, forse troppo rapidamente. E ora si aggira lo spettro di una nuova povertà che tutti, in città come in periferia, temiamo di sentire bussare alla nostra porta, una miseria che potrebbe affacciarsi se le misure anti-virus continueranno a stringere: un cordone sanitario (utilizzato per evitare il collasso degli ospedali, che sono arrivati alla prova del Covid, provati dalle politiche di risparmio e di tagli con la scure) considerato indispensabile per tutelare le fasce più deboli della popolazione, ma un cordone che alla lunga rischia di soffocare tutti. La mancanza di respiro si percepisce anche a livello psicologico e sociale. E la Chiesa riesce a misurare con efficacia questo malessere: «Si sente la mancanza dell'incontro di comunità nelle celebrazioni. Le persone che possono partecipare alla messa sono poche. Gli anziani, che sono più a rischio, siamo noi ad invitarli a stare a casa, ad assistere alle messe solo in tivù o in radio. Le persone di mezza età partecipano, ma poco, con tanta paura». E i giovani? «Quelli sono praticamente scomparsi. Già prima della pandemia esisteva il problema... Adesso tutto è peggiorato». Il parroco spiega che, quando tutto sarà finito, ci saranno tante "macerie" e «ci si dovrà rimboccare le maniche per ricostruire quel tessuto sociale così importante» per il vivere civile, oltre che cristiano.

Racconta che in questi mesi la diocesi ha fatto molto: «Dopo la fine del primo lockdown, abbiamo preso tutte le precauzioni: distanziamento all'interno delle chiese, comunione distribuita facendo partire i fedeli dalla porta di ingresso, lontani gli uni dagli altri. Ma le nostre chiese sono piccole: con queste regole in ognuna ci stanno 20-25 persone; in quelle più grandi le cose vanno un po' meglio (130 posti a San Bernardo, 50 a Terzolas e 50 a Caldes)». Meno partecipazione, quindi meno offerte, meno denaro da destinare alle persone bisognose. «Noi riusciamo a coprire a stento le spese per l'illuminazione. Prima in alcune chiese si raccoglieva qualcosa come 100 euro al mese. Ora arriviamo a 20 o 30. Per fortuna c'è la Caritas diocesana che sta facendo un lavoro molto importante».

Don Renato Pellegrini "sente il polso" della sua gente: «Il virus e le misure introdotte per contenerlo stanno producendo i loro effetti: tante persone sono sull'orlo della depressione, altre ci sono dentro in pieno, tante sono inquiete e arrabbiate». Arrabbiate? «Sì, perché le regole anti Covid continuano a cambiare e questo aggiunge disagio al disagio. La gente deve gestire la vita di tutti i giorni, con i tanti problemi che ci sono. Se le regole cambiano ogni tre giorni si fanno solo danni. Questa situazione ci sta gettando nella solitudine e nella paura: il solo fatto che ci venga impedito di frequentare i parenti è causa di malessere».  Dice, da uomo oltre che da prete, che la vita sta diventando più pesante: «Prima si sperava che fosse un momento passeggero, invece adesso sembra una cosa cronica e così viene a mancare un po' tutto. L'assenza totale di eventi comunitari ci sta mettendo in ginocchio. Quello che si è costruito negli anni sta lentamente crollando». Insomma si cerca di non morire di Covid ma si rischia di morire di tutto il resto o di morire dentro. «Si sta aprendo una voragine nella nostra società. La Chiesa sta lavorando molto per tenerla insieme, la nostra comunità».

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