La maestra con i bambini al parco perché la fine della scuola sia un inizio «C'era il forte bisogno di ritrovarsi»

di Zenone Sovilla

Il lockdown, la clausura domestica, la scuola che da snodo della socialità diventa relazione a distanza, mediata da un display. Per i bambini sono stati mesi duri, ma troppi decisori politici sottovalutano questa sofferenza. Il periodo è stato sfibrante anche per gli insegnanti che conoscono la sensibilità dei piccoli, turbata da settimane di emergenza.
L'urgenza di ritrovarsi era evidente e con la fine del lockdown finalmente è stato possibile. Fra gli insegnanti c'è chi si è adoperato, in forma personale e volontaristica, per aiutare bambine e bambini a incontrarsi, all'aperto, in un parco cittadino, in sicurezza, rispettando le regole igienico-sanitarie. L'atteso momento per stare insieme, guardarsi negli occhi, ascoltare le voci dal vivo.
Olga Graffone, maestra in una scuola primaria di Trento, ha raccontato all'Adige l'esperienza di cui si è fatta interprete, del tutto fuori da ogni veste istituzionale, ma con l'incoraggiamento di molti genitori. ha promosso momenti di gioco e di convivialità che hanno coinvolto una classe. E oggi, ultimo giorno di scuola, grazie all'iniziativa delle famiglie, un'altra classe replicherà.
«È stata proposta - spiega l'insegnante - come un occasione di ritrovo facoltativo al parco. La notevole partecipazione dei bambini e la fiducia dei genitori ha dimostrato che era ciò di cui avevano davvero bisogno.
Si è trattato di un momento indipendente dalle iniziative della scuola. Un modo per costruire un percorso complementare alla didattica a distanza. Quest'ultima da troppo tempo impedisce ciò che vi è di più centrale nelle relazioni umane: il contatto visivo».
Com'è stato, poi, ritrovarsi?
«Un momento magico, di condivisione di idee e pensieri, libertà e bolle di sapone. Per far sì che tutti i bambini si guardassero negli occhi e prendessero consapevolezza del gruppo, ho organizzato un paio di attività in cerchio, ponendo l'attenzione sul presente. La domanda "come stai?" ha acquisito il suo vero valore.
E le risposte?
«Frasi come "mi sono mancati i miei amici", "mi trovo bene a fare lezione all'aperto", "vorrei abbracciarvi". Frasi che i bamvini hanno scritto sulla nostra "linea del tempo" realizzata al parco».
Un momento liberatorio dopo tre mesi di tablet e computer.
Ma lei come ha vissuto la teledidattica?
«Gli insegnanti non erano obbligati a svolgere video-lezioni, ma per mantenere un contatto con i propri allievi è stato fatto. In molti casi si divideva la classe in gruppi, per evitare problemi con microfoni e telecamere. Sono state svolte ore più del previsto e in tre mesi abbiamo dovuto confrontarci con strumenti tecnologici mai visti né immaginati. Abbiamo supportato con comprensione le famiglie in difficoltà nell'usare il computer. Abbiamo cercato di incastrare gli orari delle video lezioni con la disponibilità di genitori, fratelli, sorelle».
La sua esperienza nel parco mostra che ora si può cercare di recuperare almeno un po' del tempo perduto. Che cosa suggerisce al mondo scolastico, oggi?
«Ora possiamo permetterci, senza paura, di offrire alle nostre classi ciò che tutti desideriamo. Qualcuno può vederlo come un gesto di disobbedienza, altri come un gesto di umanità. In questi giorni, verso la fine della scuola, molti insegnanti riuniscono sulla piattaforma Google Meet tutti i compagni della stessa classe per il saluto a conclusione di un percorso durato un anno, un percorso pieno di difficoltà fuori dal comune. Così l'ultimo momento da condividere con i compagni e le maestre si riduce allo schiacciare un tasto e vedere scomparire da uno schermo i nostri amici.
Sarebbe bello se la mia esperienza al parco suggerisse ad altri docenti di organizzare un ritrovo finale in un luogo immerso nel verde, dove si dia spazio ai corpi, alla voce, all'ascolto reciproco. Perché ogni arrivederci diventi intenso, detto e ascoltato con il cuore e con gli occhi, non su un microfono e un display».

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