Il voto europeo è stato segnato da una grande novità nelle relazioni fra i territori dolomitici: per la prima volta un candidato della Svp, Herbert Dorfmann, ha ottenuto il sostegno ufficiale di un movimento politico anche nella vicina provincia di Belluno, nel segno della rivendicazione autonomistica. L'europarlamentare sudtirolese uscente e ora rieletto è stato sospinto dal movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti) ottenendo il primato di preferenze: ne ha raccolte seimila in un bacino elettorale di 195 mila cittadini che hanno premiato la stella alpina con il 9,6%.
Non male per una campagna che si è giocata tutta in poche settimane, dopo l'accordo raggiunto fra i bellunesi e il candidato bolzanino, che si è detto felice di poter rappresentare in Europa le istanze di questi territori di montagna («Bolzano, Trento e Belluno hanno esisgenze del tutto simili e con il mio operato potrò dare loro una risposta unitaria, ha spiegato Dorfmann»).
Il tutto in uno scenario elettorale che non vedeva nemmeno un candidato bellunese nemmeno negli altri partiti.
La risposta delle urne a questa inedita intesa ridisegna in qualche modo la geopolitica dolomitica e incoraggia ora il Bard, che al momento non è un partito ma un movimento trasversale, a intensificare la sua azione proponendosi in prospettiva come una vera forza territoriale, con al centro del programma la necessità assoluta di un regime di autogoverno per la montagna bellunese che si sta spopolando e richiede un assetto istituzionale in grado di favorire il rilancio (anche in quota) di attività quali l'agricoltura sostenibile, il turismo, l'artigianato e la piccola impresa. Su questo piano, sarà prezioso avere a Bruxelles una voce che si faccia carico di favorire risposte alle esigenze concrete delle terre alte, mentre a livello locale, regionale e nazionale si lavora per costuire una forma seria di autonomia e per rendere sempre più stretto e produttivo il rapporto con Trento e Bolzano.
Una delle prossime tappe sarà probabilmente la trasformazione del Bard in un partito autonomista con esordio ufficiale l'anno prossimo, alle elezioni regionali venete.
Nel frattempo pone interrogativi seri al resto delle forze politiche, a cominciare dal primo partito bellunese, il Pd, dal quale fra l'altro provengono alcuni dei principali esponenti del movimento autonomista. Al democratici - anche locali - si rimprovera la timidezza nella rivendicazione di uno status istituzionale adeguato alle esigenze di queste popolazioni alpine. Un passaggio di forte rottura è stata la recente riforma Renzi-Delrio che ha svuotato di senso (e del diritto di voto) le Province ordinarie riservando uno status solo un po' meno degradante a quelle interamente montane (Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola): davvero troppo per chi si batte per ottenere una forma di autogoverno che riequilibri le distanze istituzionali fra le tre province dolomitiche delle quali, fra l'altro, in un futuro più o meno vicino, auspica l'unificazione all'interno di un'unica regione.
Se il voto europeo ha segnato quasi il 10% dei voti catalizzati dal Bard verso la Svp, è presumibile che il bacino potenziale di un partito territoriale sia di gran lunga più ampio, in una provincia che nelle urne di domenica ha presentato uno scenario assai simile a quello trentino, col il Pd al 39% (48% nel capoluogo), M5S al 16%, Lega e Fi al 12%.
Negli anni scorsi il Bard, oltre ad aver sostenuto i vari referendum comunali sul passaggio dal Veneto al Trentino Alto Adige, era stato il protagonista dell'iniziativa, sostenuta quasi all'unanimità dall'ultimo consiglio provinciale bellunese (poi sciolto e commissariato dal governo) per una consultazione generale dell'intero corpo elettorale.
Ma il referendum provinciale sul cambio di regione fu bloccato dalla Corte di cassazione che ritenne di affermare motu proprio, non senza contestazioni, il principio dell'immodificabilità costituzionale della composizione "binaria" della Regione Trentino Alto Adige cui dunque non si potrebbe aggiungere una terza provincia alpina.
Il movimento bellunese ha avviato da tempo un dialogo (non sempre facile) con il mondo politico e economico trentino e bolzanino, per ragionare sulla necessità di avviare una cooperazione forte fra questi territori, nella consapevolezza che solltanto unendo le popolazioni dolomitiche si potrà reggere l'urto dei tempi, sia in termini di effetti economici delal globalizzazione sia di effetti istituzionali delle pulsioni neocentraliste che si notano a Roma.
"Noi - spiegano gli autonomisti bellunesi - ci sentiamo minoranza nel Veneto e, come abitanti della montagna, minoranza in Europa ma non godiamo di questo status e dunque non abbiamo nessun diritto ad una rappresentanza. Siamo certi che chi ha vissuto e vive questo status e ha combattuto e combatte per non essere assimilato e sparire come identità culturale, sociale ed economica, possa capirci ed aiutarci a difendere i nostri legittimi diritti.
Abbiamo visto sfuggire tre turni elettorali per l’elezione di un ente territoriale provinciale capace di rappresentare unitariamente il nostro territorio. È un fatto gravissimo. Uno Stato non può calpestare i diritti civili fondanti la nostra sua stessa democrazia ma qui, sindaci in testa non hanno protestato in modo forte e convincente perché il diritto di voto non fosse negato. Tutti sembrano attendere riforme costituzionali che tardano ma ciò che è grave è l’incostituzionalità della recente legge Delrio che riduce le Province ad enti di secondo grado, una legge che è passata con il plauso anche del Pd locale. Difendiamo il diritto di vivere nel nostro territorio di montagna: è difficile e complicato ma è la nostra terra e qui vogliamo poter abitare oggi e per i secoli a venire. Delrio ci ha detto che anche altre zone montane si sono spopolate presupponendo per noi lo stesso destino. Il membro del governo ha consigliato di rassegnarci a questa fatalità. Cosa che non potrà mai accadere perché non ci arrenderemo e lotteremo per la sopravvivenza delle nostre comunità alpine".
Il sociologo Diego Cason: così Belluno costruisce l'autonomia