Ebola, in viaggio verso l'Italia il medico contagiato
Il virus Ebola ha colpito anche l’Italia: il primo italiano contagiato è un medico di Emergency impegnato nella gestione dell’epidemia in Sierra Leone. L’uomo, risultato positivo al virus, è rientrato in Italia questa mattina con un Boeing 767 dell’Aeronautica Militare opportunamente modificato ed è stato ricoverato all’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma, uno dei due centri nazionali di riferimento per Ebola insieme all’ospedale Sacco di Milano.
Al momento, le condizioni del medico sono buone, come ha reso noto il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «Mi sento di rassicurare la famiglia - ha detto - che il nostro medico sta bene, non ha avuto febbre o altri sintomi durante la notte, stamattina ha fatto colazione e continua a bere in maniera autonoma, esprimo la mia vicinanza a lui e alla famiglia e assicuro che il governo italiano tutto è al fianco del nostro connazionale».
La macchina dell’emergenza è subito partita per il trasferimento e il trattamento del medico italiano con trasporto ad alto biocontenimento, e sono state predisposte «tutte le misure per garantire il trasporto e il ricovero del paziente in massima sicurezza e iniziare tempestivamente il trattamento clinico».
Da parte sua, Emergency assicura che tutto lo staff del Centro in Sierra Leone segue una formazione specifica sui protocolli di protezione per evitare il contagio e la diffusione del virus. Tuttavia, precisa la ong, «nessun intervento sanitario in un’epidemia così grave può essere considerato completamente privo di rischi», anche considerando che in Sierra Leone la situazione è drammatica e l’epidemia continua a espandersi con oltre 100 nuovi casi al giorno.
Nel nostro Paese, rassicura ad ogni modo il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Amedeo Bianco, «i medici sono allertati e formati a livello cognitivo sul virus Ebola, tuttavia una delle cose più importanti è prevenire e gestire il rischio, attraverso la sorveglianza e l’isolamento in unità attrezzate che garantiscano il paziente e chi presta le cure».
Allo Spallanzani, intanto, tutto è pronto per accogliere il paziente: «Per la gestione dell’emergenza - chiarisce Adriano De Iuliis, infermiere presso l’Istituto e segretario aziendale del sindacato infermieristico Nursind - è stata predisposta una task force di una ventina di persone tra medici e infermieri; alcuni di questi colleghi si occuperanno del trasporto pazienti, altri dell’assistenza dopo il ricovero».
Il personale della task force, afferma, «è preparato a far fronte all’emergenza ed ha effettuato varie esercitazioni mirate». Tuttavia, denuncia De Iuliis, «già prima dell’emergenza Ebola, la situazione del personale infermieristico allo Spallanzani era grave, con forti carenze numeriche. Ora, con l’arrivo del primo caso confermato di Ebola, la situazione sarà ancora più difficile».
Le prime informazioni mediche sul paziente, annuncia il ministero della Salute, verranno fornite domani alle 12.30 in una conferenza stampa presso l’Istituto Spallanzani.
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Sul fronte terapeutico, si va dal farmaco sperimentale anti-Ebola ZMapp, al plasma derivato da persone infettate dal virus e poi guarite: sono questi i trattamenti ad oggi utilizzati in vari casi per la cura dei pazienti colpiti da Ebola e ricoverati in Usa o Europa. Tuttavia, per molti dei 20 pazienti curati fuori dall’Africa - ai quali si aggiunge oggi il medico italiano di Emergency - non sono state rese note le terapie impiegate. Ad ogni modo, ad oggi non esistono farmaci ufficialmente autorizzati contro il virus Ebola, e quelli usati sono trattamenti sperimentali.
ZMapp è un cocktail di anticorpi ricavati nei topi e poi modificato per essere usato negli umani.
È stato somministrato a sette malati colpiti da Ebola, di cui cinque guariti. La terapia con plasma o sangue di persone guarite, e che quindi hanno in circolo gli anticorpi contro il virus, invece, è stata utilizzata su alcuni dei pazienti statunitensi infettati nell’attuale epidemia. La cura venne però impiegata già nel 1995 per un’epidemia di Ebola a Kikwit, nella Repubblica Democratica del Congo, con buoni risultati.
Un’indicazione generale circa le terapie da impiegare in caso da Febbre da virus Ebola è contenuta nel protocollo del ministero della Salute (che fa riferimento ad una precedente circolare in merito del 2006): per tutte le febbri emorragiche virali, si sottolinea, «è necessaria una terapia di supporto che preveda il mantenimento della volemia (il volume totale di sangue nell’organismo) e dell’equilibrio idro-elettrolitico. Per controllare il sanguinamento si può somministrare plasma, piastrine, sangue. Può essere utile una copertura antibiotica per la prevenzione di infezioni secondarie. Per il controllo dello shock è consigliabile la somministrazione di dopamina».
La circolare avverte inoltre che un «trattamento antivirale specifico in grado di ridurre la letalità, in particolare quando iniziato precocemente, è consigliato solo per alcune febbri emorragiche virali, anche se la sua efficacia non è stata dimostrata in maniera definitiva».
Se al momento non ci sono cure ufficiali per Ebola, dovrebbero però prendere il via dal prossimo gennaio i test di efficacia sui due candidati vaccini scelti dall’Oms: sono il cAd3-ZEBOV, sviluppato dalla multinazionale GlaxoSmithKline e dal National Institute for health (Nih) statunitense, e il rVSV-ZEBOV, messo a punto dall’equivalente canadese del nostro Istituto Superiore di Sanità.
L’Istituto farmaceutico militare di Firenze, inoltre, sta sperimentando un farmaco che ha l’effetto di bloccare le emorragie causate dal virus Ebola. Il ministero della Difesa, in collaborazione con il dicastero della Salute, ne ha proposto la sperimentazione ad alcune organizzazioni non governative (ong) che operano nei Paesi africani maggiormente colpiti dall’epidemia in atto.