Fi in crisi: ora stop all'intesa con il Pd
Il patto nel Nazareno si «è rotto» o, almeno, si sfalda dalla forma in cui l'intendeva fino ad ora Forza Italia. Si spezza sotto la forza d'urto delle implosioni nel partito di Silvio Berlusconi, uscito ancora più «balcanizzato» dopo la prova dell'elezione del Capo dello Stato. E con il Pd che fa spallucce e avverte: «Tanto meglio così».
A decretarne la fine è il comitato ristretto del partito dell'ex Cav, convocato in tutta fretta di notte dopo un faccia a faccia tra Fitto e Berlusconi e Verdini. E in cui i vertici azzurri, a cominciare da Renato Brunetta, sono arrivati a rassegnare le dimissioni, poi respinte dall'ex Cavaliere.
«Il patto del Nazareno così come lo avevamo interpretato fino ad oggi, noi lo riteniamo rotto» annuncia a fine riunione il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, spiegando che FI non si sente «più impegnata» a seguire il governo sul cammino delle riforme. «L'accordo era: "sulle istituzioni si sceglie insieme", e dunque anche sul Capo dello Stato. Ma questo presupposto fondamentale è caduto». Da oggi, come aveva annunciato Berlusconi, FI voterà solo ciò che gli aggrada. Di certo, assicura però Toti, sulle riforme non faremo «i kamikaze».
Ferma la risposta del Pd che ostenta sicurezza: «Se il patto del Nazareno è finito, meglio così. La strada delle riforme sarà più semplice. Arrivare al 2018 senza Brunetta e Berlusconi per noi è molto meglio» avverte Debora Serracchiani, vice segretario del Pd. «Contenti loro, contenti tutti. Ognuno per la sua strada, è meglio per tutti. Per noi, sicuramente» le fanno eco il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti e il ministro Boschi, che tira dritto: «Noi andiamo avanti». La prossima settimana si voterà da martedì a sabato.
Alfano, anche lui alle prese con un Ncd dilaniato, si rammarica per la rottura del patto ma, sottolinea, «noi ci siamo: con i nostri voti e i nostri numeri c'è la maggioranza».
Gli effetti della tensione tra Pd e FI non tardano però a tradursi subito in uno scontro parlamentare. Ci sono, appunto, da decidere i tempi per il voto a Montecitorio sulle riforme costituzionali e la riunione dei capigruppo decide che l'aula voterà da martedì a sabato. «Tempi e modi irragionevoli, inaccettabili e ai limiti della democrazia. Così si violenta il Parlamento» tuona Renato Brunetta, capogruppo FI che fa notare: la discussione sulle riforme blocca provvedimenti molto attesi dal Paese, dal Milleproroghe al decreto Ilva, dalle banche popolari alla responsabilità civile dei magistrati. E tutto ciò «a causa dell'egemonismo di Renzi».
Un altolà che mette in guardia sul prosieguo delle riforme per le quali il Pd deve fare i conti anche con la sua minoranza. «Se non c'è il patto del Nazareno non mi vesto a lutto. Spero che adesso il Parlamento possa discutere nel merito le riforme, iniziando soprattutto dai capilista bloccati», dichiara il deputato della minoranza Pd Gianni Cuperlo.
E anche Stefano Fassina avverte: non solo la legge elettorale va corretta sui capilista bloccati, ma va rivisto anche «il decreto attuativo della delega sul lavoro, sui licenziamenti collettivi e sul principio di proporzionalità per i licenziamenti disciplinari» e va corretto il decreto fiscale.
A tutti risponde Maria Elena Boschi: «Dentro Forza Italia ci sono correnti diverse: c'è chi ascolta Fitto, chi Letta, chi Toti o Brunetta. Noi non seguiamo le correnti Pd, figuriamoci se possiamo aspettare le correnti FI. Noi pensiamo agli italiani, non a Berlusconi».
Francesca Chiri [Ansa]