Pd, dopo il "suicidio" è finito nel limbo
Il Pd trentino, ormai senza timone, naviga a vista in cerca di una soluzione guidata da Roma
Il Pd trentino, ormai senza timone, naviga a vista in cerca di una soluzione guidata da Roma.
Il senatore Giorgio Tonini definisce quanto accaduto lunedì sera in assemblea provinciale del Pd, con la bocciatura per mano dei franchi tiratori del candidato alla segreteria Sergio Barbacovi, sul quale ufficialmente c'era l'accordo di tutte le componenti,
come un cupio dissolvi. «È difficile - commenta - trovare un bandolo di razionalità. Qui non c'è politica. Quello che è accaduto è una porcheriola, una brutta pagina. Il Pd trentino si è decapitato da solo, l'assemblea si è suicidata e ora è tutto nelle mani della segreteria nazionale. Ci penserà il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini, che è anche segretario organizzativo. Penso che in pochi giorni sarà indicato un commissario».
Anche il deputato Michele Nicoletti, che lunedì era presente in assemblea, e che nei giorni scorsi aveva lavorato perché quagliasse la segreteria Barbacovi come soluzione di «pacificazione» in preparazione del congresso, è molto deluso da quanto accaduto. «Purtroppo - dice - è prevalsa una irresponsabilità incomprensibile. La soluzione che fino a qualche ora prima era condivisa da tutte e tre le mozioni è stata poi bocciata nel segreto dell'urna. È sconfortante, perché non c'è stata una sconfitta dopo una battaglia politica aperta, ma nel segreto e questo è molto sgradevole. Purtroppo in Trentino abbiamo uno statuto del partito che a differenza di quello nazionale prevede che servano i due terzi dei componenti dell'assemblea per eleggere un nuovo segretario, non basta la maggioranza assoluta. Barbacovi con 37 voti aveva la maggioranza assoluta dei 64 componenti, ma servivano 43 voti che sono mancati».
Fra i presenti e votanti (i capi-mozione Giulia Robol, Vanni Scalfi ed Elisa Filippi non hanno votato) 37 sono stati i sì, 7 le schede bianche e 3 nulle. E dopo il voto sono partiti urla e insulti reciproci.
Elisa Filippi, che aveva proposto il nome di Barbacovi, eletto con la sua mozione, è molto dura: «Quando è stato chiesto il voto segreto (Rudi Chistè, Ndr.), dopo che nel dibattito nessuno aveva preso la parola per dire che la proposta Barbacovi non era convincente e che avrebbe votato contro, si è capito che ci sarebbero stati i franchi tiratori. Mi ha ricordato molto i 101 franchi tiratori che hanno impallinato Prodi».
«C'è stata una discussione - continua Filippi - perché c'era chi voleva che fosse fissata la data del congresso, ma è assurdo quando si elegge un segretario è come delegittimarlo e comunque c'era già una delibera dell'assemblea che prevedeva il congresso entro fine anno. Con quello che è accaduto lunedì si è rotto qualcosa nel Pd trentino, è stato un atto molto grave». Ora il paradosso è che la segreteria nazionale potrebbe persino decidere di nominare come commissario la stessa Elisa Filippi (in alternativa a Giorgio Tonini), che fa parte della direzione nazionale del partito. Sarebbe una beffa per chi ha boicottato l'operazione Barbacovi e qualche mese fa il tentativo della stessa Filippi proprio per paura di trovarsi guidati dai «renziani».
I sospetti su chi siano stati i franchi tiratori si indirizzano a un gruppo di roveretani e vallagarini fedeli al segretario dimissionario Fabiano Lorandi, che lunedì pur non facendo parte dell'assemblea si aggirava
tra i presenti, e qualche eletto della mozione Scalfi. Fabiano Lorandi non vuole commentare: «Non ho nessuna valutazione in merito a quanto accaduto. Mi sembra ci sia una situazione di grande disagio». Mentre la coordinatrice del Pd di Trento, Elisabetta Bozzarelli, eletta con Scalfi, cerca di interpretare il perché di chi si è astenuto: «Io ho votato Barbacovi per amore del partito e per il mio ruolo di coordinatrice per ridare un clima di fiducia, ma il malessere presente in assemblea sulla proposta era palpabile e non è vero che non è emerso. Davide Nicolussi, segretario del circolo di Volano, ad esempio ha espresso i suoi dubbi e così altri perché l'accordo che si era trovato prevedeva che con l'elezione del segretario si fissasse anche una scadenza per il congresso. Invece nei loro interventi sia Filippi che Nicoletti e Robol sono stati vaghi. Addirittura Nicoletti ha buttato lì che il congresso sarebbe stato meglio farlo un anno prima delle provinciali del 2018. Non c'era un clima di lealtà». Con Nicolussi erano intervenuti per chiedere il congresso anche Giovanni Curia, Giacomo Pasquazzo, Pierfrancesco Rensi.
Per il capogruppo provinciale del Pd, Alessio Manica, che non ha votato perché a casa con la febbre, quanto è successo non è un dramma: «Significa semplicemente - dice - che la proposta non ha convinto, non per il nome ma per la mancanza di chiarezza sul mandato (in primis la data del congresso). In molti erano convinti che si sarebbe votato assieme al nome anche un minimo di perimetro del mandato. Questo ha spinto 10 a non votare il segretario. Di certo non, come sostiene qualcuno, per uno scontro con il gruppo consiliare. Noi abbiamo rispettato l'autonomia dell'assemblea nel momento in cui la nostra proposta di una guida più istituzionale non è stata presa in considerazione». Luca Zeni aggiunge: «Come gruppo ci siamo tenuti fuori. Ma devo dire da quanto mi è stato detto che rispetto all'intesa trovata nel pomeriggio poi in assemblea non sono stati rispettati gli accordi sulla data del congresso e c'è chi ha pensato che sarebbe stato come votare a scatola chiusa».