Il Senato approva il ddl sulle unioni civili 173 sì alla fiducia. Ora passa alla Camera
Via libera dall’Aula del Senato alla fiducia sul maxiemendamento del governo al ddl sulle unioni civili. I voti favorevoli sono stati 173, quelli contrari 71, nessun astenuto. Il M5S non ha partecipato al voto, così come alcuni esponenti di Area Popolare. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera. Dei senatori trentini, hanno votato a favore Vittorio Fravezzi e Giorgio Tonini. Assente il senatore Franco Panizza, segretario del Patt, impegnato a Trento in riunioni di partito. Assente anche Sergio Divina, della Lega.
@giornaleladige Il senatore del Patt @panizza_f assente al voto su #unionicivili con fiducia al governo. Si invece di @VFravezzi e @giotoni
— Luisa Maria Patruno (@patrunoladige) February 25, 2016
Un applauso dei banchi del Pd ha segnato l’annuncio dell’ok alla fiducia nell’Aula del Senato al ddl Unioni civili. Felice Monica Cirinnà, che ha ascoltato il presidente Grasso abbracciata a Giuseppe Lumia. Subito dopo, la senatrice ha scambiato un abbraccio con il collega Andrea Marcucci. Prima di lasciare l’Aula, c’è stata anche una stretta di mano tra Monica Cirinnà e Carlo Giovanardi.
LE REAZIONI
Tutti scontenti. La mediazione nella maggioranza sulle unioni civili non piace, per ragioni chiaramente diverse, opposte, alle ali estreme di questa vicenda, le organizzazioni Lgbt e quelle legate alla famiglia. E se le associazioni gay annunciano il proseguimento della lotta nelle piazze, i cattolici del Family Day si appellano al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché si faccia «garante» della democrazia, e mandano un messaggio al premier Matteo Renzi: «Si accorgerà di noi al referendum di ottobre», quello sulle riforme costituzionali, dice il portavoce Massimo Gandolfini.
Lo stralcio della stepchild adoption è inaccettabile per il mondo gay e non basta ai cattolici, che vedono nel maxiemendamento in ogni caso il riconoscimento dei matrimoni tra omosessuali. L’intesa tra Renzi e Alfano mette dunque d’accordo due mondi opposti, distanti anni luce, che parlano in modi diversi di «pasticciaccio all’italiana».
Per il movimento lgbt questa «legge sulle unioni civili ignora completamente l’esistenza e le esigenze dei figli di coppie omosessuali, chiedendo alla magistratura di sbrigare da sola questo incredibile vulnus della nostra legislazione. Ponzio Pilato non sarebbe riuscito a fare di meglio». In un documento firmato da una trentina di associazioni, quasi tutte le realtà della galassia omosessuale e transessuale italiana, annunciano che quella del 5 marzo prossimo, a Piazza del Popolo a Roma, sarà «una grande manifestazione di protesta contro le scelte del Governo e del Parlamento».
Il mondo cattolico ha fatto sentire la sua voce prima in un duro corsivo di Avvenire che contesta soprattutto il metodo, la fiducia. «C’è modo e modo di dettar legge, e questo non riesce proprio a convincerci», si legge sul giornale dei vescovi.
Il popolo del Family Day invece oggi ha improvvisato una conferenza stampa davanti al Senato. La richiesta di fiducia sul maxiemendamento sulle unioni civili «è una procedura inaccettabile, inammissibile, sconcertante. La storia repubblicana non ha mai conosciuto un momento di protervia politica come questa», dice Gandolfini che parla di «dittatura» e dice che di questa legge, anche nei contenuti, «non va bene niente». E un altro volto noto del movimento, Mario Adinolfi (direttore di «La Croce»), rimarca: «Renzi con questo passaggio sulle unioni civili ha segnato la sua sconfitta al referendum, oggi si consuma uno strappo che avrà le sue conseguenze evidenti tra otto mesi». E conclude: «su un provvedimento dai contenuti enormi si è usato un metodo antidemocratico, al limite del violento. Dispiace che alla fine tutto questo si consuma per mezzo di due cattolici».
Ma anche le associazioni più «istituzionali», dal Forum Famiglie al Movimento per la Vita, parlano di «testo insoddisfacente» e auspicano che «tutti i senatori, non solo cattolici, vogliano riflettere nel momento in cui dovranno esprimere il loro voto, rivendicando il primato della coscienza che la costituzione garantisce per l’esercizio del mandato parlamentare; una coscienza doverosamente «ben formata», che non può essere fondata sul ciò che mi pare o mi conviene».