Capire la nostra Italia attraverso i nostri delitti
«La lettura dell’Italia si può fare attraverso il delitto. Non ho mai scritto un romanzo, ma per ogni storia che porto in video è come se ne avessi scritto uno».
Si racconta così all’Ansa Franca Leosini, storica autrice e conduttrice del programma tivù «Storie maledette», che domani ritirerà la «Medaglia Città di Rivisondoli per il giornalismo televisivo e il servizio pubblico 2016».
Il premio, alla sua prima edizione, promosso dal Comune di Rivisondoli, va alla Leosini «in considerazione della qualità, del rigore e dell’impegno profuso nella sua attività giornalistica, per la rimarchevole sensibilità e lo straordinario rispetto dell’altro che, insieme alla scrupolosa e particolare attenzione al ruolo di servizio pubblico, ha dimostrato nell’ambito del suo lavoro di autrice e conduttrice televisiva».
Domani la cerimonia all’auditorium del comune dell’Aquilano. La consegna del premio sarà preceduta da una tavola rotonda sul tema «giornalismo televisivo e servizio pubblico».
«Il lavoro che faccio - dice Leosini - è in verticale, non in orizzontale, è in profondità. La parola chiave è approfondimento, che richiede tempo. Proprio per questo realizzo poche puntate per ogni stagione, perché approfondisco e studio».
Si dice convinta che «nel noir siano presenti tutte le passioni umane», la giornalista, consapevole di come oggi «purtroppo la cronaca tante volte privilegi i colori degli avvenimenti».
«Io studio gli atti del processo, studio le persone, la loro psicologia. Ai miei interlocutori - afferma - rubo l’anima, per poi restituirgliela. Loro scendono con me nell’inferno del loro passato. Per me sono interlocutori e non professionisti del crimine. Sono caduti nel vuoto di una maledetta storia».
Visto il rapporto che si crea con i suoi interlocutori, Leosini dice di non avere storie preferite, ma ovviamente non può non ricordare le «storie che hanno fatto storia».
Come il collezionista di anoressiche, l’imbalsamatore di Termini o la più recente vicenda dell’avvocatessa sfregiata con l’acido e del suo ex fidanzato che ha confessato le sue responsabilità proprio davanti alle telecamere di «Storie maledette». Poi c’è la storia di Pasolini, riscritta e raccontata dalla giornalista, fino alla riapertura delle indagini. «Era stato tutto affossato, la storia doveva essere seppellita, perché lui era «un frocio», dice, lei che è un’icona gay.
Nell’era del web, dei social e della velocità, c’è ancora spazio per l’approfondimento? «Non solo c’è spazio ma c’è una grande richiesta. Sono tanti i giovani che mi seguono, anche attraverso i social, e generalmente i ragazzi sono i più difficili da conquistare televisivamente».
Consapevole, però, di come in Italia vi siano «molte trasmissioni tv di cui potremmo fare a meno», Leosini si sofferma sul «problema del linguaggio» e sul concetto di responsabilità: «Noi abbiamo una responsabilità enorme, perchè siamo dei modelli».