Dellai lancia l'allarme «Coalizione a rischio»
L'ex governatore suona l'allarme per il centrosinistra autonomista
Legge un parallelo Lorenzo Dellai tra quanto sta accadendo a Roma e a Trento sulla scena politica. E in particolare in quella che lui chiama «sottovalutazione», sia da parte del Pd nazionale che del centrosinistra autonomista trentino, delle ragioni che hanno portato alla sconfitta referendaria di dicembre e prima ancora delle elezioni amministrative in importanti Comuni a livello nazionale e locale. «Ci avevano detto che andava tutto bene, di stare tranquilli - provoca l'ex governatore - invece dobbiamo prendere atto della crisi profonda di rappresentanza e di progetto della coalizione di governo in Trentino, tanto che si aggrappa a un'iniziativa civica di sindaci non ancora proposta né definita».
Onorevole Dellai, passate le feste, dalla settimana prossima le forze politiche dovranno cominciare a parlare seriamente di legge elettorale. Il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha fretta di tornare a votare. Si riuscirà a fare una legge elettorale e ad andare presto ad elezioni, secondo lei?
Sto cercando di capire anch'io cosa sta succedendo, sia sul quadro politico nazionale che locale. In generale vedo due sottovalutazioni parallele del cambiamento molto profondo dei comportamenti elettorali e del ciclo politico. A Roma non c'è stata una sufficiente analisi di quanto accaduto alle amministrative prima e al referendum costituzionale poi. C'è stata una rimozione. Questo è grave perché porta come conseguenza l'idea di puntare al voto subito, come una sorta di rivincita, da parte della dirigenza del Pd, che non porterà nulla di buono, perché non valuta prima la lontananza che c'è stata tra la proposta referendaria e una larga parte dei ceti popolari del Paese. Le periferie sociali, geografiche e generazionali sono andate da un'altra parte. La riforma è apparsa come una minaccia invece che una risposta ai problemi. Abbiamo accreditato l'idea di una democrazia dell'efficienza, mentre il problema che avevamo era quello di una democrazia sociale.
Il governo ha annunciato un decreto sulla povertà.
Ecco, questa poi è un'altra dimostrazione di come non vanno affrontati i problemi sociali. C'è già un disegno di legge approvato alla Camera, adesso al Senato. Non ha senso un decreto come se fosse un fatto emergenziale, quando invece è strutturale. Il problema semmai è come reperire risorse per finanziare gli strumenti delle politiche contro la povertà. Ci sono ceti che pagano troppe poche tasse e un sistema di welfare che non ha sufficienti risorse per funzionare. Serve una politica di equità fiscale. I redditi personali medio-alti vanno penalizzati. Il miliardo e mezzo di cui parla il governo è una minima parte di quello che serve.
Ma tornando alla legge elettorale. Le forze politiche riusciranno a farla?
Spero non si ragioni solo in base a una logica di bottega, a quello che conviene a Tizio o Caio. Il Mattarellum è un'ipotesi improbabile, perché non calza molto con la situazione attuale, tanto che anche il Pd mi pare l'abbia accantonato. Dall'altra parte io non sono d'accordo su un proporzionale puro, lasciando dopo il voto in Parlamento alle forze politiche la decisione su cosa fare. Io penso che sia bene una logica proporzionale per la rappresentanza, ma è necessario garantire anche la governabilità. Come gruppo (Democrazia solidale-Centro democratico, Ndr.) abbiamo presentato un disegno di legge.
Qual è la vostra proposta?
Noi prevediamo sia per la Camera che per il Senato un doppio turno nazionale. Con il primo turno con un sistema proporzionale, con soglia al 3%, si assegna il 75% dei seggi. Poi si assegnano su un secondo turno obbligatorio con cui si assegnano i seggi rimanenti come premio di governabilità alla lista o alle liste che si coalizzano e che vincono un secondo turno aperto, non come ballottaggio, ottenendo la maggioranza. Questo era il ragionamento che faceva Roberto Ruffilli negli anni '80: una fase proporzionale in cui le forze politiche si misurano nella loro consistenza e una fase in cui si aggregano e chiedono il voto agli elettori prima non dopo. Chi dice: dopo il voto faremo una grande alleanza contro Grillo, fa un ragionamento debole. Chi dice che dopo il voto, con sistema proporzionale, se Grillo e Salvini si mettono d'accordo non hanno una maggioranza? Per questo va recuperato un principio di coalizione da presentare prima del voto.
Qual è la sottovalutazione che vede invece in Trentino da parte del centrosinistra autonomista?
Vedo un parallelo nel dibattito politico locale. Non mi pare che si sia capito che anche da noi l'autonomia può certamente costruire coesione e assorbire le tensioni sociali, ma può essere al contrario anche uno strumento di accelerazione degli scontri: più il potere è vicino al popolo, più l'aspettativa sale e c'è il rischio di un atteggiamento rivendicativo e radicale verso le istituzioni. Io sono molto preoccupato di alcuni segnali di scollamento valoriale, che arrivano da alcune realtà tra le più ricche del Trentino, come la Val di Fassa. È di una gravità assoluta. Già l'anno scorso al congresso dell'Upt avevo cercato di mettere sul chi vive tutti su un certo cedimento strutturale della coalizione politica e del cemento sociale dell'autonomia. Oggi purtroppo si vede che la situazione si è aggravata.
Oggi sembra che la soluzione dei problemi sia quella di aprire alle liste civiche. Anche il Pd vuole farlo. Cosa ne pensa?
( ride ) L'atteggiamento verso l'iniziativa dei sindaci cosiddetti «civici» è la prova evidente della sottovalutazione che dicevo. Non ho ancora ben capito di cosa si stia parlando, se c'è un progetto unitario o di singoli, ma colgo questa uscita e la discussione sui sindaci, come la dimostrazione di una crisi profonda di rappresentanza e di progetto della coalizione di governo, che si aggrappa a un'iniziativa appena accennata. Ci è stato detto che tutto andava bene, era perfetto e non si doveva interferire e ora ci ritroviamo in questa situazione. Inoltre, l'iniziativa dei sindaci civici dimostra la grandissima fragilità di rapporti fra la Provincia e i territori. Alcuni sindaci dicono di non sentirsi considerati, si sentono snobbati. D'altra parte, purtroppo, dopo la controriforma istituzionale era evidente che si sarebbe inceppato il meccanismo, perché l'investimento politico sui territori non è stato più fatto. Ma da qui a dire che questa iniziativa dei sindaci è la risposta a questi due disagi ce ne corre.
Non le sembra che vogliano fare qualcosa simile alla Margherita del 1998?
Non lo so. Non ho capito qual è il disegno, ma certo non può essere plausibile quello di aggiungere una gamba civica a quello che c'è. Nel '98 l'iniziativa dei sindaci portò alla nascita di un partito vero e proprio, la Margherita, che era in antitesi al potere provinciale di allora e a quel progetto di governo.
Questa iniziativa non può aiutare a rigenerare il progetto della coalizione?
Non mi pare si stia lavorando a questo. Io invece sono molto contento che il 28 gennaio l'assemblea dell'Upt discuterà cosa voglia dire riposizionarsi e rimettersi in discussione per ricomporre un rapporto con l'opinione pubblica, perché il problema oggi non è mettere insieme gli anti-grillini contro Grillo. Dobbiamo alzare l'asticella, non basta una civica che si aggiunge a una coalizione che c'è. Non è una soluzione all'altezza della sfida dei cambiamenti che abbiamo di fronte.