Renzi cerca il rilancio al Lingotto Emiliano: una triste kermesse

«Il futuro non va più di moda ma è la nostra sfida, la paura è l’arma elettorale degli altri»: così ieri Matteo Renzi, che nella kermesse organizzata a Torino ha rievocato le origini del Pd, con il Lingotto di Veltroni che rivendica da «erede», non «reduce».
E rivendica pure le proprie origini, con «l’ambizione di rappresentare una svolta e tornare all’egemonia, non in senso gramsciano, ma nel dettare l’agenda di un’Italia che non si rassegna al catastrofismo».

Ma sui contenuti della proposta politica gli avversari interni di Renzi hanno rimarcato la vacuità e la continuità con il recente passato bocciato dagli elettori nel referendum del 4 dicembre.

«Io non ho capito la proposta di Renzi, neanche da questa triste kermesse che sta facendo. Se insiste nello sbagliare è un pericolo per sè stesso e per gli altri», ha detto Michele Emiliano, candidato alla segreteria del Pd, commentando l’iniziativa al Lingotto.
«Non riesco a capire qual è la differenza tra i fallimenti dei 1000 giorni precedenti e quello che intende fare in futuro. O si è pentito di quello che ha fatto in passato e allora mi farà capire in cosa vuole cambiare,o insiste nello sbagliare».

«Renzi non riceve attacchi personali, io non ne ricordo uno. Ma riceve attacchi politici devo dire quasi tutti meritati perchè in mille giorni di governo ne ha azzeccate pochissime», aggiunge Emiliano, rispondendo all’appello lanciato ieri a Torino da Renzi sullo stop agi attacchi personali.

«A parte le unioni civili non mi viene in mente un’altra cosa buona che abbia fatto. Questo non è un attacco personale, perchè come dice Crozza, io voglio bene a Matteo Renzi, ma voler bene a una persona non significa far finta che abbia concluso qualcosa», conclude il candidato pugliese alla segreteria Pd.


Parole, queste, di un candidato alla segreteria Pd che rivendica la scelta di essere anche candidato premier. Con una novità, annunciata dopo la sconfitta al referendum: «Io ci sono, con le mie ferite. Ma prima di me - dice annunciando più collegialità e dibattito delle idee - ci siete voi».

E anche l’altro dei due sfidanti, il ministro Andrea Orlando, critica con durezza la linea renziana: «Usciamo dalla sindrome dell’autosufficienza. Io guardo a quelli che hanno costruito il Pd e poi sono rimasti per strada».

La folla che riempie il padiglione del Lingotto, con tanto verde a far da sfondo e le sale per i workshop tematici a contornare il palco, è la risposta - sottolineano i renziani - a chi vedeva Renzi già azzoppato dal caso Consip. Lui, che in un’intervista afferma di avere contro «un intreccio di poteri», dal palco non fa alcun riferimento alle inchieste, tuona contro chi fa «battaglie rancorose contro qualcuno e non per qualcosa».

Ma aggiunge che non attaccherà mai i suoi rivali Emiliano e Orlando.

Parte dalla parola «insieme» e termina con due parole, «identità» e «patriottismo» che rivendica alla sinistra. In mezzo, un discorso che guarda al governo del Paese, a partire dalla sfida con chi cavalca la «paura».

«Chi spara contro questa comunità non fa male solo ai militanti ma indebolisce l’argine del sistema democratico del paese», attacca. E lancia stoccate anche a chi è uscito dal Pd, bocciando la sinistra «che si divide», le logiche da «corrente», il «ping pong» delle polemiche. Cita a più riprese Walter Veltroni e riprende temi del suo Lingotto come Olof Palme e la necessità di combattere «la povertà, non la ricchezza». E afferma, smentendo lo stesso titolo della kermesse (”Tornare a casa per ripartire insieme”): «Non siamo qui per ripartire, perché non ci siamo mai fermati ma per discutere, dialogare, dividerci se serve», afferma con quello che pare un riferimento anche alle critiche di Sergio Chiamparino, che al Lingotto viene da sostenitore «critico».

L’ex premier ribadisce che è «convintamente al fianco» di Gentiloni e rilancia la battaglia in Europa, a partire dalla proposta di primarie per la scelta del candidato Pse alla presidenza della Commissione. Rivendica la vicinanza al francese Emmanuel Macron e attacca «populisti e tecnici»: «Per anni una parte delle elite dell’Italia ha considerato l’Europa lo strumento per convincere gli italiani riluttanti a fare riforme che altrimenti non avrebbero voluto fare, premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e antitaliano». Al centro pone un tema come il lavoro e annuncia la nascita di una scuola di politica («Frattocchie 2.0») e una piattaforma on-line di partecipazione che si chiamerà «Bob», come Kennedy.

Quanto al partito, dice che il Pd è «l’argine del sistema democratico del Paese» e che se ci sono «abusi» sulle tessere a fronte di 420 mila iscritti è fisiologico. Ed è normale che non abbia gli stessi problemi M5s che a Monza elegge il candidato sindaco con 20 voti. Propone una ricetta diversa rispetto al partito leggero o al partito pesante, che è una partecipazione attraverso diverse forme. E afferma che c’è spazio per parlare anche ai Millenials.
Parla di piattaforma congressuale, Renzi, ma guarda al governo del Paese.

L’opposto di quel che fa Andrea Orlando, che propone la separazione dei ruoli di segretario e premier.

Orlando sottolinea che il Lingotto è patrimonio «di tutto» il Pd e non solo della mozione renziana. E rivendica di essere in giro nelle piccole città e periferie del Paese, da chi sente la politica «lontana dalle grandi convention».

Da fuori, attacca Renzi anche un «ex» come Pier Luigi Bersani: «Pretendere di riassumere il centrosinistra in un partito e il partito in un capo significa andare contro un muro».

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