Attentato di Stoccolma: arrestati anche tre conoscenti dell'uzbeko
Terrore, sgomento, incredulità: sono i sentimenti che prevalgono a Stoccolma, all’indomani della strage in centro dove un camion è piombato sulla folla uccidendo quattro persone.
Altre 10 sono ferite e ancora ricoverate in ospedale, quattro sono in condizioni gravi.
Il sospettato numero uno è un uzbeko di 39 anni, l’uomo arrestato ieri a nord di Stoccolma. La polizia è certa che sia lui il killer: «Nulla indica che sia la persona sbagliata», e non esclude che possa aver avuto dei complici, «al momento non possiamo ancora escludere che altri siano coinvolti».
A bordo del camion è spuntato poi quello che appare un ordigno artigianale, probabilmente carico di liquido infiammabile che non si è innescato.
Nel pomeriggio l’antiterrorismo ha effettuato un blitz a sud di Stoccolma: tre le persone finite in manette. Secondo i media «sono collegate» al 39enne uzbeko, ma mancano conferme ufficiali. I tre si trovavano «a bordo di un’auto bianca», e «sono collegate al sospetto». Un altro blitz si segnala in quello che viene considerato il ‘covò del presunto killer.
La polizia, che punta da ieri ufficialmente sulla pista del terrorismo, non manca di sottolineare le similitudini tra l’attacco di Stoccolma e quello di Londra. Manca ancora una rivendicazione ufficiale, ma questo potrebbe essere collegato come in altri casi all’esistenza di una vera e propria cellula dormiente che le formazioni jihadiste vogliono tenere ancora sottotraccia.
Nel Paese prevale il cordoglio e la paura, il governo ha annunciato di aver rafforzato i controlli al confine. Il re Carlo XVI Gustavo, rientrato in fretta e furia dal Brasile, si è rivolto alla nazione con un messaggio televisivo.
«Siamo scossi da quanto è successo. Quelli che vogliono aiutare sono di più di quelli che vogliono colpirci», ha detto, esprimendo il cordoglio ai familiari delle vittime ringraziando poi le forze dell’ordine e quelle dei soccorsi, «hanno fatto un gran lavoro per limitare i danni».
A Stoccolma, per tutta la giornata a centinaia si sono recati sul luogo del massacro, portando fiori, mentre pian piano la situazione tornava alla normalità, con il ripristino delle linee della metropolitana e quelle ferroviarie.
Sui media però infuriano le polemiche: si punta l’indice contro i servizi di sicurezza, che hanno rinvenuto il potenziale ordigno - nascosto in una valigetta - solo 24 ore dopo l’attacco, e soprattutto dopo aver consentito ieri sera al premier Stefan Lofven di recarsi sul luogo dell’attentato quando la minaccia non era stata ancora sventata.
Il capo dell’intelligence Anders Thornberg ha poi rivelato che il sospetto «non era sotto indagine» ma che «era finito sotto i radar» e infine catalogato come «figura marginale».
Eppure, ha rivelato l’Aftonbladet, l’uomo aveva postato materiale di propaganda dell’Isis su Facebook, e apprezzato una foto ‘celebrativà dell’attentato alla maratona di Boston del 2013. Mentre resta il mistero sulla presunta confessione dell’uomo. Oggi è stato ascoltato in presenza del suo avvocato, non è trapelato nulla.
Eppure gli esperti insorgono, sottolineano come da tempo si fosse elevata l’allerta, proprio verso figure dell’estremismo islamico originarie dell’Uzbekistan che in Svezia potrebbero contare su una fitta rete di sostegno.
E tiene banco, per la prima volta in Svezia, il tema di una legislazione più restrittiva.
L’ex premier Fredrik Reinfeldt avverte: «La Svezia non rinuncerà mai ai principi della libera circolazione, forse si discuterà se piazzare o meno più telecamere di sorveglianza, ma non siamo disposti a rinunciare a quell’apertura che è il bagliore della libertà, che noi amiamo tanto.
L’uzbeko, 39 anni, padre di quattro figli e con presunte simpatie per l’Isis, ha pubblicato in passato su Facebook materiale di propaganda e messo un «mi piace» a una foto del massacro della maratona di Boston dell’aprile 2013.
Una conoscente lo descrive come una persona che «non parlava mai di politica né di religione, ma solo di come guadagnare di più per mandare i soldi alla famiglia».
L’ultimo lavoro sarebbe quello per una ditta di costruzioni. Ieri è stato arrestato per un «comportamento sospetto» in un negozio a nord di Stoccolma, dopo essere riuscito a fuggire, prima in metro e poi in treno, dal teatro della strage.
La polizia non è ancora in grado di escludere che possa aver avuto dei complici. Il profilo che tuttavia emerge ricorda molto da vicino l’identikit dei terroristi che hanno seminato sangue e morte in Europa nell’ultimo anno, utilizzando un camion o un’auto per uccidere.
Il 39enne uzbeko era finito sotto i radar dell’antiterrorismo giusto un anno fa, ma al pari degli altri killer di Nizza, Berlino o Londra il suo profilo era stato derubricato a un ruolo marginale, senza legami diretti con l’estremismo.
L’Uzbekistan si è trasformato in una delle fucine di reclutamento del jihadismo targato Isis: terroristi originari del Caucaso o delle ex repubbliche sovietiche asiatiche hanno compiuto gli ultimi attentati in Turchia e Russia, l’attacco all’aeroporto Ataturk e poi la strage di capodanno sempre a Istanbul, infine l’attentato nella metro di San Pietroburgo.
Il primo attentatore suicida nella storia svedese era invece di origini irachene: nato a Baghdad era stato accolto in Svezia nel 1992.
Poi va a studiare a Luton, in Gran Bretagna, la città dove secondo gli 007 britannici nel 2008 era ancora attiva la cellula collegata agli attentati di Londra del 2007.
Secondo gli amici era un tipo tranquillo, che amava la pallacanestro. Nel 2010 si è fatto esplodere a Stoccolma, poco lontano dal luogo dell’attacco di ieri, senza per fortuna causare vittime. Anche lui era un terrorista della porta accanto.