Appalti Consip, telefonata di Renzi al papà «Non ti credo, devi dire la verità ai giudici»
«Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati»: così Il Fatto quotidiano riporta un’intercettazione del 2 marzo di quest’anno tra Matteo Renzi e il padre Tiziano, alla vigilia della convocazione di quest’ultimo in procura, nell’ambito della vicenda Consip.
Il brogliaccio è riportato nel libro del giornalista Marco Lillo «Di padre in figlio».
«È una cosa molto seria», afferma l’ex premier, secondo quanto ricostruito da Lillo: «Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje».
E ancora: «Devi dire nomi e cognomi», «Mazzei è l’unico che conosco anche io».
«È vero che hai fatto una cena con Romeo?», è la domanda dell’ex premier. E i carabinieri - riporta il quotidiano - annotano: «Tiziano dice di no e che le cene se le ricorda ma i bar no».
Quindi Matteo Renzi: «Non ti credo e devi immaginarti cosa può pensare il magistrato». E ancora: «Andrai a processo, ci vorranno tre anni e io lascerò le primarie», «non puoi dire bugie o non mi ricordo e devi ricordarti che non è un gioco».
Immediata la reazione dell’ex premier: «Questa mattina Il Fatto pubblica con grande enfasi delle intercettazioni tra me e mio padre. Nel merito ribadiscono la mia serietà visto che quando scoppia lo scandalo Consip chiamo mio padre per dirgli: “Babbo, questo non è un gioco, devi dire la verità, solo la verità”», scrive su Fb Matteo Renzi.
«Politicamente - prosegue - le intercettazioni mi fanno un regalo. La pubblicazione è come sempre illegittima. Ma non ho alcun titolo per lamentarmi: non sono il primo a passare da questa gogna mediatica. Anzi: ad altri è andata peggio. Qualcuno si è tolto la vita, qualcuno ci ha rimesso il lavoro.
Chi ha sbagliato pagherà fino all’ultimo centesimo, comunque si chiami. Spero che valga anche per chi - tra i giornalisti - ha scambiato la ricerca della verità con una caccia all’uomo che lascia senza parole.
Possono costruire scandali o pubblicare prove false quanto vogliono. Noi crediamo nella giustizia. Ci fidiamo delle istituzioni italiane», aggiunge Matteo Renzi, sulla vicenda Consip. .
«Vi racconto i fatti» è l’incipit del lunghissimo post su Facebook in cui Matteo Renzi racconta dalla sua prospettiva la telefonata con il padre.
«Chi ha potere, o ha avuto potere, deve rispondere a tutte le domande: cosa che farò anche alle 16 oggi pomeriggio con i cittadini con il Matteo Risponde».
«È il 2 marzo. Il giorno prima - ricorda - vado nella Locride. Quindi arrivo a Taranto. Al mattino incontro gli operai dell’ILVA con la splendida Teresa Bellanova. Prendo un caffè con la direttrice del Museo di Taranto. Di tutto lascio traccia su Instagram, sul blog, sui social. Poi finalmente trovo il tempo di chiamare mio padre.
Sono circa le 9.30 del mattino. Mi metto sulla terrazza della sala da pranzo delle colazioni, avendo cura di essere solo. E affronto mio padre.
Per me è una telefonata umanamente difficile. Repubblica ha pubblicato una clamorosa intervista a un testimone che riferisce di una cena riservata in una bettola segreta tra mio padre e l’imprenditore Romeo, lo stesso che secondo una ricostruzione dei magistrati di Napoli gli avrebbe dato 30 mila euro in nero al mese».
«Conosco mio padre e conosco la sua onestà: alla storia dello stipendio in nero da 30 mila euro non crede nemmeno un bambino di tre anni. Ma dubito di lui, esperienza che vi auguro di non provare mai verso vostro padre, e sulla cena mi arrabbio. ‘Ma come?’. Mi sembra allucinante. E tuttavia, ingenuo come sono, credo a Repubblica perchè mi sembra impossibile che pubblichino un pezzo senza alcuna verifica: se lo scrivono, sarà vero.
Dunque incalzo mio padre. Lo tratto male, dicendogli: ‘Non dirmi balle, la cena c’è stata per forza altrimenti non lo scriverebberò. ‘Quante volte hai visto Romeò. Lo interrogo, lo tratto male. Ma sono un figlio. E se tuo padre bluffa lo senti.
Mio padre mi ribadisce: non c’è stata nessuna cena, devi credermi. Matteo, è una notizia falsa, devi credermi. Con l’aggiunta di qualche espressione colorita toscana», scrive.
«Alla fine della telefonata, durissima, salgo in auto verso Castellaneta e poi Matera e sussurro a un caro amico che mi accompagna: "Mio padre non c’entra niente, mio padre non ha fatto niente. Questa storia puzza"», prosegue. «I fatti li conoscete. Nelle settimane successive un’altra procura, quella di Roma, indagherà su un capitano dei carabinieri che aveva fatto le indagini su mio padre accusando il militare di falso.
La storia diventa torbida con presunti interventi dei servizi segreti, che vengono vergognosamente citati da persone prive di alcuna serietà istituzionale. La vicenda assume contorni inquietanti e l’intrigo si carica ogni giorno di nuovi particolari».
Le intercettazioni pubblicate oggi dal Fatto «umanamente mi feriscono perché in quella telefonata sono molto duro con mio padre. E rileggendole mi dispiace, da figlio, da uomo. Da uomo delle istituzioni, però, non potevo fare diversamente», dice ancora il segretario del Pd su Facebook.
«Umanamente mi dispiace per mio padre. È entrato in una storia più grande di lui e solo per il cognome che porta. Ieri, per la seconda volta, in tre mesi mio padre era all’ospedale di Careggi per un altro piccolo intervento al cuore. E alla fine mi viene da pensare che sia tutto per colpa mia, solo per il mio impegno in politica.
Delle volte mi domando se tutto questo dolore abbia un senso. Se sia giusto far pagare a chi ti sta vicino il fatto che ci sia gente che farebbe di tutto per vedermi politicamente morto. E mi dico che forse alla fine per cercare di migliorare la vita degli altri si finisce col peggiorare quella di chi ti sta accanto: penso soltanto a quanto ha sofferto Agnese per le vergognose cose che le hanno detto sulla buona scuola, dopo anni di precariato come tutte le sue colleghe. Poi mi ripeto che possono inventarsi di tutto, ma noi non molleremo».