Catalogna, la protesta In migliaia in piazza
Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Catalogna per protestare contro le violenze della polizia spagnola domenica contro i seggi del referendum, riferisce la tv pubblica Tv3. Le manifestazioni più importanti si sono svolte a Barcellona. Ma ci sono state concentrazioni in decine di città e comuni catalani. Manifestazioni hanno bloccato il traffico su 24 arterie del paese, fra cui le autostrade Ap7 e C32. Lo sciopero generale ha l'appoggio fra gli altri del governo catalano e dei comunI di Barcellona e Girona.
Intanto il presidente Carles Puigdemont ha convocato una riunione straordinaria del governo per decidere la strategia del 'dopo'. In teoria in base alla legge del referendum approvata in agosto dal Parlamento il prossimo passo dovrebbe essere la proclamazione dell'indipendenza. Una mossa che sarebbe una dichiarazione di guerra a Madrid. Con una risposta ancora più dura, fino alla sospensione dell'autonomia e del governo catalani, o anche l'arresto di Puigdemont.
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Con poche speranze inoltre di ottenere riconoscimenti internazionali. La linea decisa dall'esecutivo catalano è stata quella del dialogo. Puigdemont ha detto che è "il momento di una mediazione internazionale" con Madrid e ha chiesto all'Ue di "smettere di guardare dall'altra parte" e di favorirla. L'obiettivo dell'indipendenza rimane, ha confermato in sostanza, ma si può trattare. "Oggi non dichiaro l'indipendenza, chiedo una mediazione": "si deve creare un clima di distensione che la favorisca". Il 'President' ha detto che ci sono già candidati, ha parlato di 'governi regionali'. "Se mi chiamano, anche oggi, sono pronto a una riunione dove vogliono", ha detto il premier basco Inigo Urkullu che ha già tentato negli ultimi giorni di spingere il premier spagnolo Mariano Rajoy e Puigdemont all'avvio di un dialogo.
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Puigdemont ha fatto capire che il passaggio in Parlamento nel quale potrebbe essere dichiarata l'indipendenza non è una questione di ore. Non dovrebbe essere prima di una settimana. Una possibile pausa nella spirale della tensione delle ultime settimane, dopo mesi di muro contro muro. Puigdemont ha ribadito di non volere una frattura traumatica con la Spagna ma piuttosto una separazione concordata. Se si andrà comunque alla dichiarazione di indipendenza, non è escluso che possa essere condizionata, per esempio alla vittoria del fronte del 'si' a elezioni anticipate, o con una entrata in vigore ritardata, a sei o nove mesi.
Il tempo, se si può, di negoziare. Anche per Rajoy è stata una giornata di preparazione delle prossime mosse. «Useremo la forza della legge» ha avvertito il ministro della giustizia Rafael Català. Il premier ha visto i leader dei due grandi partiti "unionisti" che lo hanno appoggiato sulla linea dura, il socialista Pedro Sanchez e Albert Rivera di Ciudadanos. Ottenendo due indicazioni contrastanti: Sanchez ha chiesto un "dialogo immediato", Rivera un pugno di ferro con Puigdemont per impedire la dichiarazione di indipendenza, con anche l'applicazione dell'art.155 che consente di sospendere l'autonomia catalana e di destituire Puigdemont.
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Anche la stampa di Madrid preme. El Mundo esorta a «non perdere un minuto contro l'indipendentismo», El Pais parla di «ribellione» e accusa Puigdemont di «arroganza xenofoba». Parole che confermano la frattura fra società catalana e spagnola. In tutta la Catalogna oggi migliaia di persone sono scese in piazza a mezzogiorno davanti ai municipi per denunciare le violenze della polizia spagnola, che hanno fatto 884 feriti. La sindaca di Barcellona Ada Colau ha denunciato anche aggressioni sessuali da parte degli agenti spagnoli. Puigdemont ha annunciato la formazione di una commissione d'inchiesta, chiesta anche dall'Onu, e denunce penali contro polizia e governo spagnoli. «Andremo, ha promesso, fino in fondo».