Mario Draghi «smonta» le tesi sovraniste
L'Europa dei «tecnocrati» del globalismo «cattivo», che ha tolto all'Italia sovranità di cambio e di moneta? È un inganno, se si tirano le fila del discorso pronunciato da Mario Draghi a Pisa. Che ha smontato la narrazione nazionalista, dicendosi «orgoglioso di essere italiano» ma tenendo a mente che il «nostro progetto europeo» è ormai baluardo contro «il fascino di ricette e regimi illiberali» che è tornato a diffondersi.
All'istituto Sant'Anna di Pisa per ricevere un dottorato honoris causa in economia, Draghi ha lasciato da parte la politica monetaria per dedicarsi, a 20 anni dalla nascita dell'euro, al tema esistenziale della moneta unica oggi messo in discussione da ampi settori politici in Italia. Con parole, toni, a tratti un certo coinvolgimento ed entusiasmo personale che sembravano rievocare il «Ciampi boy», testimone in prima persona degli eventi che portarono l'Italia nell'euro, delle scelte e anche dei drammi di quegli anni. Ad ascoltarlo anche uno dei protagonisti di quegli anni: Giuliano Amato. «Non è così», scandisce rivolto ai molti (non solo fra i partiti antieuro) che oggi descrivono l'euro come «semplice trasposizione» di una globalizzazione sregolata. Al contrario il mercato interno nacque (il richiamo è a Jacques Delors) per «cogliere i frutti dell'apertura delle economie» ma riuscendo, nel solco del liberalismo sociale europeo, ad «attutirne i costi per i più deboli» difendendoli «dalle ingiustizie del libero mercato».
Draghi ne ha per tutti, quando sbriciola le tesi antieuropeiste che dilagano, dall'Italia all'Ungheria di Orbàn. Le regole comuni hanno protetto la concorrenza leale. La Carta dei diritti fondamentali ha «impedito una corsa al ribasso dei diritti dei lavoratori». La rimozione dei dazi e degli standard europei hanno messo l'Italia all'interno di una catena del valore che oggi compete nel mondo. E poi naturalmente, l'euro e gli anni drammatici che in Italia l'hanno preceduto, con l'Italia che dovette svalutare sette volte con un'inflazione cumulata stellare, doppia dei partner europei, al 223%. La crescita degli anni '80, oggi rimpianto dei sovranisti, che in realtà fu «presa a prestito dal futuro» con debito. E poi il perno dell'argomentazione sovranista, la sovranità monetaria e quella del tasso di cambio. «Alcuni Paesi persero sia i benefici della flessibilità dei cambi che la sovranità della loro politica monetaria» - scandisce il presidente della Bce - e «i costi sociali furono altissimi» sfociando nelle crisi valutarie dei primi anni Novanta.
Tutto ciò serve a riconoscere che «questa Europa fu una risposta eccezionale, oggi parafrasando Robert Kagan diremmo antistorica, a un secolo di dittature, di guerre, di miseria». E che il fatto che per tanti queste siano memorie lontane rende «il nostro progetto europeo ancora più importante». «Quello che posso dire», conclude Draghi, «è di avere coraggio, perché senza il coraggio non si va da nessuna parte». È quello che servirà negli anni a venire, perché Draghi non esiterà a riconoscere che il progetto europeo è incompleto: che l'inazione sui due fronti, unione bancaria e dei mercati dei capitali da una parte, capacità di bilancio anticiclica nazionale ed europea dall'altra, è «inaccettabile». E anche che - il riferimento all'Italia è evidente - «in vari Paesi i benefici che ci si attendevano dall'Unione monetaria non si sono ancora realizzati», ancorché non fosse «pensabile» che vi si arrivasse solo per merito dell'euro.