Penalisti scandalizzati per Salvini e Bonavita su Cesare Battisti
L’arresto di Cesare Battisti e lo «show» di due ministri all’aeroporto con le divise della Polizia e della Polizia Penitenziaria, alimenta anche polemiche: «Quanto accaduto ieri in occasione dell’arrivo a Ciampino del detenuto Battisti è una pagina tra le più vergognose e grottesche della nostra storia repubblicana. È semplicemente inconcepibile che due Ministri del Governo di un Paese civile abbiano ritenuto di poter fare dell’arrivo in aeroporto di un detenuto, pur latitante da 37 anni e finalmente assicurato alla giustizia del suo Paese, una occasione, cinica e sguaiata, di autopromozione propagandistica». A esprimere «sdegno e riprovazione per questa imbarazzante manifestazione di cinismo politico» è l’Unione delle camere penali, che ritiene anche «sconcertante» che «il Ministro della Giustizia abbia diffuso un video, con sinistro commento musicale, titolando di “una giornata indimenticabile”».
«I ministri Bonafede e Salvini hanno ritenuto di doversi presentare in aeroporto, dove erano stati zelantemente predisposti palchetti, per esibirsi in favore di telecamera, evidentemente al fine di acquisire nell’immaginario collettivo il merito di un evento frutto, come è ben noto, del lavoro ultratrentennale dei vari governi che si sono succeduti nel tempo, al pari delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza e di intelligence», lamenta la giunta dell’Ucpi, notando che «non ci sono state risparmiate foto ricordo del detenuto, con due agenti della polizia penitenziaria al fianco, in spregio di espliciti divieti normativi».
«Altro è esprimere legittima soddisfazione per la conclusione di una lunga latitanza di un cittadino raggiunto da plurime sentenze definitive di condanna per gravissimi fatti di sangue, altro è esporre il detenuto, chiunque egli sia, qualunque sia la sua colpa, come un trofeo di caccia, con foto ricordo al seguito- osservano ancora i penalisti- Una pagina umiliante e buia di malgoverno, che rappresenta nel modo più plastico e drammatico un’idea arcaica di giustizia ed un concetto primitivo della dignità umana, estranei alla cultura del nostro Paese».
Intanto emergono i particolari sull’arresto in Bolivia. Lo ha tradito la voglia di camminare: «errori non ne ha fatti, la sua latitanza era ben organizzata anche se probabilmente era stanco della sua fuga. Forse la sua unica debolezza, quella che gli è stata fatale, è stata la voglia di farsi lunghe passeggiate nel quartiere in cui si era nascosto». Gli ultimi istanti da uomo libero di Cesare Battisti emergono dal racconto di Emilio Russo e Giuseppe Codispoti, uno primo dirigente dell’Interpol l’altro vicequestore dell’Antiterrorismo, i due uomini della Polizia che gli hanno dato la caccia negli ultimi due mesi.
Russo e Codispoti sono gli agenti che ieri erano alla destra e alla sinistra di Battisti quando è sceso dall’aereo che lo ha riportato in Italia. I due erano in Bolivia dal 6 gennaio, due giorni dopo l’ultimo segnale emesso dal telefonino dell’ex terrorista dei Pac. Dal 4 gennaio quel cellulare è rimasto muto, ma ha lasciato una traccia: due quartieri residenziali della terza cerchia di Santa Cruz de la Sierra, Urbarì e Santa Rosita.
E da qui i poliziotti hanno cominciato a cercare. Grazie all’analisi dei tabulati di quel telefono sono state circoscritte una serie di aree e sono iniziati gli appostamenti.
«Abbiamo fatto un’analisi del territorio vecchia maniera - dice Codispoti - andando a bussare porta a porta». «Abbiamo lavorato giorno e notte con i colleghi boliviani - conferma Russo - usando il vecchio metodo tradizionale. Siamo tornati indietro di 30 anni per fare i pedinamenti, senza alcun ausilio della tecnologia». La difficoltà più grande, dicono, è stata di muoversi in un territorio dove chiunque avrebbe potuto individuarli. «Due occidentali si riconoscono subito, qualcuno avrebbe potuto parlare, dovevamo fare presto».
Gli appostamenti danno il risultato sperato. Sabato pomeriggio Battisti viene agganciato. Sta facendo una delle sue passeggiate, come aveva rivelato il telefono. «Lo abbiamo filmato - racconta ancora Codispoti - mentre lui continuava a camminare, abbiamo ottenuto la corrispondenza e alla fine l’abbiamo fatto fermare». «Battisti è stato fermato per un controllo e portato negli uffici, non ha reagito in maniera scomposta, non pensava ci fossero italiani. Poi lì ci siamo fatti vedere e abbiamo svelato il vero motivo del controllo. Lui ha capito e c’è rimasto male.
È crollato sulla sedia, consapevole di dover passare lungo tempo in carcere».
Quando lo hanno preso Battisti aveva una carta di credito Visa, un’agenda con foglietti e annotazioni, patente, carta d’identità, tessera sanitaria e codice fiscale brasiliani. E ora quella carta di credito e quell’agenda, assieme al suo cellulare, sono sulla scrivania del capo del pool antiterrorismo della procura di Milano Andrea Nobili e potrebbero consentire di ricostruire ulteriori dettagli della latitanza e, soprattutto, la rete che lo ha protetto in questi mesi. Potrebbe coinvolgere vecchie conoscenze italiane dell’ex terrorista dei Pac.