Lecito coltivarsi la canapa? Fugatti non ha letto la sentenza ma è già contrario a priori
La giunta provinciale non ha ancora letto le motivazioni della sentenza, ma è già contraria: ««Ci riserviamo di leggere con attenzione le motivazioni della pronuncia del 19 dicembre scorso con cui le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno reso legale la coltivazione domestica di cannabis, ma fin d’ora sentiamo la necessità di ribadire tutta la nostra preoccupazione per le conseguenze che ciò avrà sul sistema socio educativo nazionale, lasciando ancora di più le le famiglie sole a difendere i diritti dei loro figli minorenni a crescere sani e lucidi» è il commento del presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, in merito alla notizia, diffusa ieri dagli organi di informazione, della recente sentenza della Cassazione in materia di coltivazione “casalinga” di piante di cannabis. Una posizione condivisa anche da Federico Samaden, a cui la Giunta ha recentemente conferito un incarico ad hoc sul tema delle droghe ed in generale del disagio giovanile.
Scrive la giunta in un comunicato: «Questo tema, la difesa dei diritti dei minori a crescere in ambienti adatti al proprio benessere psicofisico, è da tempo inquinato dalla campagna strisciante di chi vorrebbe legalizzare le droghe - spiega il presidente Fugatti - passando per la truffa culturale della “leggerezza della droga”. E’ curioso come questa campagna non abbia mai citato l’art. 33 della Convenzione sui diritti dell’infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dal nostro paese con la legge 176 del 27 maggio 1991, che, nonostante il pronunciamento della Cassazione sul tema, recita testualmente così: “Gli Stati adottano ogni adeguata misura, comprese misure legislative, amministrative, sociali ed educative per proteggere i fanciulli contro l’uso illecito di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope, così come definite dalle Convenzioni internazionali pertinenti e per impedire che siano utilizzati fanciulli per la produzione e il traffico illecito di queste sostanze”».
Per la giunta «Rendere lecito il coltivarsi in casa una sostanza stupefacente rafforza il falso convincimento che alterare la propria lucidità con una sostanza sia un problema da poco, da relegare all’aspetto ludico-ricreativo della vita. Questo contrasta con tutte le evidenze scientifiche sugli effetti altamente negativi e destabilizzanti dell’uso di tutte le droghe sullo sviluppo cerebrale in età evolutiva, oltre a minare alla radice il lavoro educativo che ogni famiglia cerca con fatica di fare per garantire ai propri figli una vita sana e responsabile. Il Trentino non intende seguire questa strada, riaffermando invece tutto il proprio impegno a costruire percorsi di crescita per i propri giovani liberi da tutte le droghe e ogni altra dipendenza».
COSA DICE LA SENTENZA NEL DETTAGLIO
Ma cosa dice esattamente la sentenza? È un via libera sottoposto a molte condizioni quello contenuto nella massima di diritto della Cassazione - resa nota ieri, in attesa del deposito della sentenza - sulla ‘depenalizzazionè della coltivazione domestica che si riferisce alle «piante stupefacenti» in generale, e non solo alla cannabis. Ad esempio, come emerge dalla massima redatta dalle Sezioni Unite degli “ermellini”, l’unico utilizzatore del prodotto “homemade” può essere solo la persona che materialmente si dedica alla cura delle piante e non è ammessa la destinazione anche ad eventuali componenti del nucleo familiare, o il consumo di gruppo. Inoltre, le piante devono essere coltivale solo con «tecniche rudimentali» - il buon vecchio innaffiatoio - per cui già la presenza di un impianto di irrigazione a goccia può far venire i sospetti sullo spaccio, per non parlare del possesso di eventuali bilancini o strumenti di precisione per pesare in grammi.
Per rendersi conto dei «paletti» fissati dalla Suprema Corte nell’udienza dello scorso 19 dicembre basta leggere la massima di diritto. «Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente», questo il preambolo di stampo tradizionalmente “proibizionista” della massima. «Devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, - prosegue il principio di diritto pubblicato sul sito della Cassazione - le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
Inoltre, sottolineando che il quantitativo di prodotto stupefacente ricavabile dalla coltivazione domestica deve essere «modestissimo», i supremi giudici danno una indicazione molto «tranchant» che prescinde dal concreto “livello” drogante e da qualunque riferimento ad altri parametri come quello della salute pubblica e del mercato della droga che pure erano presenti nel quesito sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite, qui di seguito riportato.
«Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, - chiede alle Sezioni Unite l’ordinanza di rimessione 35436 della Terza sezione penale - a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato».
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