L'OMS: virus, vicini alla pandemia "Ma la mortalità è poco superiore a quella dell'influenza normale"
Svolta nell’epidemia di coronavirus: i contagi registrati all’estero, ha annunciato oggi l’Oms, hanno superato per la prima volta quelli in Cina (427 contro 411). E Pechino, che ore teme un contagio di ritorno, ha deciso per paradosso di imporre un periodo di 14 giorni di auto-quarantena a tutti coloro che arriveranno nella capitale da Paesi colpiti dall’infezione, inclusa quindi l’Italia.
«Non è tempo di compiacersi, bisogna rimanere vigili», è stato però il messaggio inviato alle autorità cinesi dal direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus nel briefing quotidiano a Ginevra.
Secondo gli ultimi dati, la Cina ha segnato 78.190 casi totali, inclusi 2.178 morti. Solo 10 nuovi casi si sono verificati fuori dalla provincia dell’Hubei, epicentro dell’infezione. Le misure draconiane imposte da Xi Jinping insomma pare che stiano funzionando. Ma se l’epidemia di polmonite virale ha raggiunto il picco in Cina tra il 23 gennaio e il 2 febbraio, per poi decelerare, la sua diffusione si sta allargando in altre parti del mondo. Fuori dal Dragone, sono stati segnalati 2.790 casi e 44 decessi in 37 Paesi, secondo l’ultimo conteggio dell’Oms. «L’aumento del numero di casi ha spinto media e politici a chiedere la dichiarazione di pandemia. Non dovremmo avere troppa fretta nel farlo senza un’attenta analisi», ha avvertito Tedros Adhanom Ghebreyesus, pur riconoscendo che «tutti gli scenari rimangono sul tavolo» e che «non esiterebbe a usare la parola pandemia se la situazione lo richiedesse».
Il mondo scientifico, tuttavia, è ormai certo che l’epidemia stia entrando in una nuova fase: secondo molti virologi ed epidemiologi, intervistati dalle riviste Science e Nature, si è vicinissimi alla pandemia, ma occorre rispondere ad alcune domande importanti, e cioè se i bambini siano suscettibili all’infezione e se possano trasmetterla allo stesso tasso degli adulti.
«L’identificazione di casi precedentemente non riconosciuti in gran numero in Iran e Italia, oltre che in Corea del Sud, ci mostra che è impossibile contenere il coronavirus», ha notato su Nature Ben Cowling, epidemiologo dell’Università di Hong Kong. Secondo Marc Lipsitch, di Harvard, «qualsiasi cosa dica l’Oms, penso che le condizioni epidemiologiche di pandemia ci siano».
Anche per Christopher Dye, dell’Università di Oxford, la finestra di contenimento del virus è quasi ormai chiusa e il virus si diffonderà ampiamente fuori dalla Cina. A destare preoccupazione sono soprattutto le morti in Iran, Paese da cui sono stati esportati casi in Libano, Iraq e in Medio Oriente.
La rapidità di diffusione, del resto, è riscontrabile nella Corea del Sud: 284 casi solo oggi, il passo più veloce finora registrato, per un totale salito a 1.261 (di cui 12 vittime) dai 51 di una settimana fa, secondo la Korea Centers for Disease Control and Prevention. Anche se è l’Iran a destare i timori maggiori: i numeri ufficiali parlano di 139 infezioni e 19 morti, ma i casi potrebbero essere oltre 18.000, nelle stime di epidemiologi e matematici sviluppate sui viaggi aerei e sull’andamento dei casi nel resto del mondo. Sono le drammatiche conclusioni che emergono da una ricerca pubblicata sul sito MedrXiv, che raccoglie articoli che non hanno ancora superato l’esame della comunità scientifica, coordinata da David Fisman e Kamran Khan, dell’Università di Toronto.
Se a destare allarme è la velocità di diffusioni, dall’altra vi sono i dati sulla pericolosità: «Il tasso di mortalità per l’influenza normale è leggermente inferiore a quello del nuovo coronavirus, che ora è pari al 2%, ma è sceso all’1% in Cina» ha affermato il direttore dell’Oms Europa, Hans Kluge, a margine della conferenza stampa.
«Il punto - ha spiegato Kluge - è il denominatore, che però non conosciamo. Quando saranno registrati più casi potremo calcolare meglio il dato. Ora in Cina è calato all’1 per cento».
Secondo Kluge è troppo presto per calcolare la mortalità in Italia, che per ora sembra leggermente superiore. «È troppo presto per dirlo. Certamente muoiono persone sopra i 65 anni, con un sistema immunitario indebolito, persone che sono vulnerabili anche rispetto alla normale influenza». Cioè come nell’influenza «normale».