Autostrade, intesa all'alba Passo indietro dei Benetton entra Cassa depositi e prestiti
Arriva il passo indietro dei Benetton che apre all’accordo su Autostrade per l’Italia. L’intesa passa dall’ingresso di Cdp con il 51%, che renderà di fatto Aspi una public company. E da una revisione complessiva della concessione, dai risarcimenti alle tariffe.
È l’alba quando, dopo sei ore di riunione assai tesa e dure discussioni, il Consiglio dei ministri dà mandato a Cassa depositi e prestiti per avviare, entro il 27 luglio, il percorso che dovrebbe portare all’uscita progressiva dei Benetton, prima scendendo al 10-12% dell’azionariato, poi con un’ulteriore diluizione in coincidenza con la quotazione in borsa di Aspi. Ai ministri Roberto Gualtieri, che ha portato sul tavolo del Cdm la proposta finale dell’azienda, e Paola De Micheli viene dato il mandato a definire gli altri aspetti dell’accordo. Sul tavolo il premier Giuseppe Conte fino all’ultimo tiene l’arma della revoca: «Se gli impegni assunti questa notte non vengono rispettati, sarà revoca», spiega un ministro.
L’ultima trattativa tra il premier e i Benetton si consuma nella notte, nel corso di un Consiglio dei ministri infuocato che vede il capo del governo stretto tra sospetti interni alla maggioranza, l’irritazione di Iv e un M5S che assomiglia ogni giorno di più a un vulcano pronto a ribollire. In Cdm Gualtieri, che descrivono non contrario in principio alla revoca ma convinto di poter trovare una soluzione migliore, porta una nuova proposta di Aspi. Ma non basta, e parte così una lunga e durissima negoziazione, che porta l’azienda a inviare al governo quattro diverse lettere nel corso della notte per perfezionare una bozza di intesa.
Conte e anche i Cinque stelle, per la parte dell’assetto societario, si dichiarano subito insoddisfatti: l’uscita graduale di Benetton richiederà una negoziazione dai tempi troppo lunghi, secondo fonti pentastellate. «Nessuna divisione», fa sapere una fonte di governo Pd. Ma tra gli stessi Dem il dossier porta tensioni. E il clima a Palazzo Chigi si fa pesante. Salta una riunione dei capi delegazione che era stata convocata prima del Cdm: raccontano sia stato Dario Franceschini a chiedere di confrontarsi direttamente in Consiglio, dove siedono anche De Micheli e Gualtieri. Il Cdm viene aperto intorno alle 23 e sospeso poco dopo. La cosa non va giù a Teresa Bellanova, che ne fa una questione di metodo: quando Conte e Gualtieri si riuniscono per decidere come condurre la trattativa finale, la capo delegazione di Iv, l’unico partito apertamente contro la revoca, fa trapelare la sua irritazione. Ma è soprattutto l’irritazione nel Movimento a emergere durante la lunga notte di Chigi: è rivolta anche - forse soprattutto - al premier, in un crescendo che fa ipotizzare a qualche esponente di maggioranza come possibile addirittura lo scenario un ribaltone estivo.
Al di là di trame e suggestioni, Conte sul dossier Autostrade si gioca molto. L’intervista al Fatto Quotidiano ha segnato un cambio di passo nella sua strategia. E, prima del Cdm, il premier non cambia linea. «O Aspi accetta le condizioni che il governo le ha già sottoposto o ci sarà la revoca», è l’ultimo avvertimento con cui Conte entra alla riunione di Palazzo Chigi.
Anche perché, dice ai suoi, «non si può tergiversare». Il premier non è disposto a fare passi indietro sul taglio delle tariffe autostradali, sulla modifica dell’articolo 35 del decreto Milleproroghe che riduce da 23 a 7 miliardi l’indennizzo in caso di revoca, sulla manleva per sollevare lo Stato dalle richieste risarcitorie legate al ponte Morandi e sul diritto di recesso, per il futuro, in caso di gravi inadempienze del concessionario risarcendo solo gli investimenti non ammortizzati.
Ma la novità che permette alla trattativa di sbloccarsi riguarda l’azionariato: i Benetton danno la disponibilità allo scorporo di Autostrade rispetto ad Atlantia, al contemporaneo ingresso di Cdp in Aspi e alla successiva quotazione in Borsa.
Il processo, che secondo fonti di governo si consumerebbe nel giro di sei mesi o un anno, avverrebbe in due fasi: nella prima Cdp entrerebbe con il 51% e ci sarebbe lo scorporo che porterebbe il peso della famiglia Benetton tra il 10 e il 12%, soglia sotto la quale non si entra in Cda; nella seconda ci sarebbe la quotazione in che dovrebbe portare a una società con un azionariato diffuso alto, fino al 50%, in cui potrebbero entrare nuovi soci, con un’operazione di mercato, abbassando ulteriormente il peso della famiglia Benetton. Ma sul range temporale dell’uscita dei Benetton il M5S mostra subito un evidente scetticismo. «È un tempo troppo lungo», spiega una fonte autorevole del Movimento. Che, già nel pomeriggio, non nascondeva l’irritazione per la gestione di De Micheli, inserita - nelle ipotesi pentastellate - nella casella degli addii in un eventuale rimpasto a settembre. Trapela in giornata una lettera di marzo in cui la ministra spingeva per un accordo e chiedeva a Conte di agire ma la cosa non piace ad alcuni tra i Dem: «Non è iniziativa del Pd», dicono dal partito, mentre tra le fila parlamentari emergono diverse anime. Attorno alla mezzanotte, quando il Cdm viene sospeso, la proposta dell’azienda non convince ancora il governo: «Non è abbastanza», osserva il premier. Ma si decide di trattare, fino in fondo, per evitare la revoca: il negoziato con gli «sherpa» dei Benetton continua in parallelo. All’alba in Consiglio dei ministri, dopo un cornetto offerto a tutti i colleghi da Vincenzo Spadafora, si legge l’ultima lettera inviata dall’azienda: «Accoglie tutte le richieste del governo», dice un ministro. Il M5s chiede fino all’ultimo garanzie che Benetton esca davvero dall’azienda. La revoca della concessione non viene tolta dal tavolo, visto che gli aspetti tecnici del negoziato dovranno essere perfezionati, ma appare ormai molto lontana.