Riforma del Mes, Ok alla Camera Ora l'incognita al Senato
Via libera della Camera alla risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del presidente del Consiglio Conte in vista del prossimo Consiglio Ue. I sì sono stati 314, i no 239, 9 gli astenuti.
Sono stati invece 297 i voti a favore, 256 i contrari e sette gli astenuti nell'Aula della Camera sulla parte della risoluzione di maggioranza che impegna il governo "a finalizzare l'accordo politico raggiunto all'eurogruppo e all'ordine del giorno dell'eurosummit sulla riforma del trattato del Mes. A chiedere la votazione per parti separate era stato il deputato Gianluca Rospi del gruppo misto. In questa specifica votazione la maggioranza ha perso voti rispetto a quella che inglobava la maggior parte della risoluzione, che raccolse 314 sì e 239 no Respinta la risoluzione dell'opposizione.
I deputati M5S Andrea Colletti, Pino Cabras, Fabio Berardini, Alvise Maniero, Maria Lapia, Francesco Forciniti hanno annunciato il voto contrario, mentre Raffaele Trano, Antonio Zennaro, Sara Cunial e Marco Rizzone sono usciti dall’ emiciclo al momento del voto.
«Il governo ha bisogno della massima coesione delle forze di maggioranza per continuare a battersi in Ue», ha detto Conte in aula.
«M5S=MES» è il testo delle magliette indossate dai deputati di FdI nell’Aula della Camera dopo il voto.
Sono 13 i deputuati di M5s che hanno votato «no» alla risoluzione di maggioranza stamani in Aula alla Camera, a cui vanno aggiunti altri 9 deputati che non hanno preso parte al voto. Emerge dai tabulati di Montecitorio.
I «no» sono stati espressi da Fabio Berardini, Pino Cabras, Andrea Colletti, Emanuela Corda, Jessica Costanzo, Carlo Ugo De Girolamo, Francesco Forciniti, Paolo GIuliodori, Mara Lapia, Alvise Maniero, Francesco Sapia, Arianna Spessotto, Andrea Vallascas.
In serata è previsto il voto in Senato. Qui la maggioranza ha margini molto risicati.
Numeri alla mano, non è per nulla facile solo pensare una maggioranza al Senato senza i 92 senatori pentastellati. i 35 del Pd e i 18 di IV. Un'alleanza ipotetica - e comunque negata da tutti gli attori - tra Fi (54 senatori), Pd (35), Iv (18), Autonomie (9), e alcuni del Misto (una quindicina), sarebbe ferma attorno ai 131 voti. Alla quota minima dei 161 consensi mancherebbero almeno una trentina di senatori. Si potrebbe già escludere che Fratelli d'Italia, forte di 18 senatori, possa appoggiare un governo con il Pd. Per le stesse ragioni, uguali ma opposte, difficilmente i 4 senatori LeU starebbero al governo con il partito di Silvio Berlusconi.
Restano frattanto le tensioni di ieri sul Recovery Fund, sulla questione della gestione che il premier intende affidare a una task force: il no di renziani resta deciso e persistono anche le contrarietà in altri gruppi della maggioranza.
La ministra delle pari opportunità, Elena Bonetti, oggi è arrivata a mettere sul piatto le proprie dimissioni sulla questione.
"Io - ha detto a Radio Capital replicando sulla questione della task force - sarei pronta a dimettermi nel momento in cui non avrei più la possibilità di rispondere al giuramento che ho fatto. Ho giurato sulla Costituzione Italiana che prevede un processo democratico che deve essere tutelato e mantenuto. Nel momento in cui non fossi messa nelle condizioni di rispettare questo giuramento, anche per coscienza personale, sì sarei pronta anche a dimettermi".
Secondo molti osservatori, la questione rischia veramente di condurre aforti fibrillazioni nella maggioranza, senza escludere opzioni radicali, nelle prossime settimane, quali la caduta del governo o un ampio rimpasto che oltre a qualche ministro potrebbe coinvolgere lo stesso premier.