Governo, Mattarella avvia le consultazioni. Per ora si gioca a carte "coperte" dopo le dimissioni di Conte
È mezzogiorno di martedì 6 gennaio quando il premier Giuseppe Conte sale al Quirinale e formalizza le dimissioni al Capo dello Stato.
Annunciate, arrivano dopo che ogni tentativo di allargare la maggioranza dell’attuale governo è naufragato.
Ora la crisi passa nelle mani di Sergio Mattarella che chiamerà al Colle i partiti per capire se vi siano i margini per un nuovo esecutivo ma sempre guidato dall’ex avvocato del popolo. Numeri solidi e un programma chiaro sono i presupposti necessari per far partire il Conte-ter, nel disegno del Colle.
E a sera il premier sceglie un post su Fb per lanciare quello che suona come un appello: il Paese ha bisogno di «un governo di salvezza nazionale». Per questo ha fatto un passo indietro ora e per le stesse ragioni chiama «un’alleanza europeista: è il momento - invoca - che emergano in Parlamento le voci che hanno a cuore le sorti della Repubblica».
Perché ciò da cui non si può prescindere «è una maggioranza ampia e una prospettiva chiara». Ma non solo. Conte sembra voler sgombrare il campo da questioni personalistiche, dando un respiro di lungo periodo alla sua missione: «l’unica cosa che davvero rileva - afferma è che la Repubblica possa rialzare la testa».
C’è la Giornata della memoria da onorare, che cade proprio oggi, 27 gennaio, e dunque le consultazioni non potranno che partire nel pomeriggio e andranno avanti fino a venerdì sera.
Tre giorni per continuare l’incessante caccia ai volenterosi, ovvero quel drappello di responsabili che dovrebbe puntellare una nuova squadra a Palazzo Chigi e che renderebbe Conte, ma anche i Dem e il M5s, meno esposti alle mosse di Matteo Renzi.
Che resta inesorabilmente un protagonista della scena.
I gruppi di Italia Viva si riuniranno al termine del primo giorno di consultazioni ma intanto l’ex sottosegretario Ivan Scalfarotto mette agli atti una presa di distanza da Giuseppe Conte: Iv quando andrà a colloquio con Mattarella «non farà un nome», dice; ma Iv non si farà neanche annebbiare dai «pregiudizi», scrive successivamente nella sua e-news Renzi sostenendo la necessità di «un governo di legislatura ed europeista».
Le trattative per mettere in piedi un gruppo autonomo di responsabili vanno avanti, l’ex 5S Gregorio De Falco chiede di poter dare vita a un gruppo che faccia riferimento al Centro democratico di Bruno Tabacci.
«Siamo una decina», fa sapere, ma poi si capisce che non si tratta di nomi aggiuntivi e quindi non cambierebbe granché ai fini della conta. La differenza consisterebbe nel fatto che probabilmente il neogruppo potrebbe partecipare alle Consultazioni.
Ma torniamo a ieri. La giornata per il premier inizia presto, alle 9 è a Palazzo Chigi, dove ha convocato l’ultimo Consiglio dei ministri del Conte II: si tratta di un passaggio formale, deve comunicare le dimissioni alla sua squadra. Nel farlo, rivendica l’orgoglio con cui lui e i suoi hanno «servito» il Paese in un momento così drammatico come quello della pandemia: «possiamo andare tutti a testa alta», dice guardandoli negli occhi. E scatta l’applauso.
Le parole sono tutte di sostegno, Franceschini ma anche Bonafede promettono di essere «compatti attorno al suo nome». Anche se in serata il capogruppo Dem Andrea Marcucci è meno netto: «Non c’è un Conte a tutti i costi: è il buonsenso - dice interpellato dai cronisti - che ci guida oggi in quella direzione». Sì perché il timore delle prossime ore è sempre lo stesso: quella che si è aperta è una crisi al buio e non c’è certezza che Mattarella riesca a dare il reincarico al presidente del Consiglio, che pure ha il favore del 40% degli italiani secondo un sondaggio Demopolis. L’alleanza Pd-M5s-LeU che ha consentito 17 mesi mesi fa la nascita del governo può avere un respiro anche di «prospettiva», ammonisce Dario Franceschini.
Il Nazareno si prende 24 ore per riunire la Direzione: l’appuntamento è per le 14 di oggi, mercoledì, ma intanto attraverso la vicepresidente Deborah Serracchiani respinge le accuse di disegni sotterranei: il nome di Conte è «imprescindibile», viene ribadito. Ma soprattutto fa un passo verso Italia Viva assicurando di non avere «alcun veto» nei confronti di «nessuno» e dunque neanche di Renzi.
Chi al Conte ter non sembra proprio disposto ad aprire resta il centrodestra, che pure segnato dai distinguo, convoca un vertice con i tre leader per annunciare che al Colle salirà unito. Scelta che non è detto serva a neutralizzare le differenze: Fi infatti continua a dirsi disponibile a un governo di unità nazionale mentre FdI punta sulle elezioni e la Lega dice no a «esecutivi pasticciati».