Addio aI professor Giuseppe Basso, un eroe della medicina

di Andrea Tomasi

Questa mattina, a Padova, l'ultimo abbraccio al professor Giuseppe Basso, morto a 73 anni a causa del covid-19.

Basso, ex direttore della clinica Oncoematologia pediatrica di Padova, era un medico e docente stimato dai colleghi e amato da tanti bambini e ragazzi malati di cancro ai quali ha salvato la vita.


È morto Giuseppe Basso e ancora non ci credi perché ci sono persone che vorresti sapere sempre là, sempre presenti anche se con loro ti senti poco e ti vedi ancora meno.

Il professor Basso ha guidato il reparto di oncoematologia pediatrica dell'ospedale di Padova.

E hai detto niente...

Per chi non lo sapesse, Padova è punto di riferimento clinico anche per i bambini e i ragazzi del Trentino Alto Adige. Gli ospedali delle due province autonome sono in contatto con gli specialisti della clinica universitaria veneta.Ogni giorno, in quel reparto sterilizzato, dove si entra dopo una lunga procedura di vestizione (sovrascarpe, camicie, igienizzazione delle mani e mascherine si indossavano ben prima del Covid), ci sono "nuovi arrivi": pazienti che portano in corsia le carte con le diagnosi (tanti i tipi di tumore), con l'esito delle biopsie. Guerrieri giovanissimi, catapultati nel mondo della malattia o, se preferiamo, sul difficile sentiero della guarigione.Se ne va Giuseppe Basso, un gigante. Era anche un gigante di umanità. La prima volta che l'ho visto non sapevo che fosse il direttore.

Non l'ho visto girare in corsia col codazzo di assistenti pronti a dirgli «Sì, professore. Ha ragione professore!». Nella stanza era entrato da solo, sorridente, senza presentarsi. Senza perdere di vista i genitori dallo sguardo smarrito, parlava direttamente al bambino, che lo guardava quasi indifferente, troppo piccolo, troppo impegnato a capire cosa ci faceva in quel posto così strano, con tutte quelle cannule e tutti gli "attrezzi da dottore".Il professore si comportava come l'ultimo degli assunti, quasi fosse capitato là per caso.

Quando è uscito dalla camera mi è stato detto: «Quello è Basso, il direttore del reparto». Ti guardava negli occhi, ti metteva una mano sulla spalla e a te che gli chiedevi (forse troppo spesso) com'era la situazione... calmo, con voce solida, rispondeva: «Stiamo andando dove vogliamo andare». Era orgogliosissimo del suo staff. Una sera mi disse: «La dottoressa Marta Pillon si staccherebbe un braccio se questo servisse a salvare un bambino».

Ne ha viste di famiglie disperate, incazzate con tutto e con tutti, a volte anche con lui, che era là per salvarle le vite di quei giovani guerrieri. Giuseppe Basso da qualche anno non era più il direttore del reparto e a chi gli chiedeva se sarebbe rimasto in ospedale con un qualche ruolo rispondeva: «Ad un certo punto è bene mettersi in disparte, dare spazio agli altri, prima che qualcuno ti chieda, garbatamente, di toglierti di mezzo».

Lo diceva sorridendo, ma capivi che in quelle stanze, fatte di dolore ma anche di speranza, lasciava una parte del suo cuore.Era un cuore grande, ma non fraintendiamoci, non era un "pezzo di pane", Giuseppe Basso. Era un uomo di polso e non ci avrei mai voluto litigare. Immagino che qualche suo collaboratore o qualche dirigente ai piani alti della struttura ospedaliera ne sappia qualcosa.

Tutti però confermeranno quanto teneva al "suo reparto", quanto voleva bene ai suoi bambini, ai suoi ragazzi e alle sue ragazze: campioni e campionesse che hanno vissuto una parte della propria vita al primo piano di una porzione di ospedale (la clinica universitaria di Padova è una città della sanità) che è speciale. Se lavori in oncologia pediatrica devi provare a "schermarti", a difenderti dal dolore, dagli schizzi di paura reale che ti saltano addosso: il terrore palpabile dei genitori che, in base a ciò che accade ai propri figli, ti amano di un amore vero o ti "odiano" di un odio disperato.

Non so come e quanto ci riescano medici e infermiere. Non so come e quanto ci riuscisse il professore.Basso mostrava il calendario che aveva fatto realizzare e che aveva come protagoniste, una per ogni mese, alcune ex pazienti, divenute donne, professioniste.

Lo mostrava con gioia vera. Mostrava la vita. Una volta entrò nella stanza di un bambino: il padre esausto al suo fianco, il piccolo - senza neanche un capello in testa - dormiva tenendo la sua mano nella chioma folta del papà. «Non ho resistito e vi ho fatto una foto» raccontò il dottore, con cui padre e bambino erano entrati in confidenza, quasi amicizia. Quasi, perché in quel contesto il dottore è qualcosa di alto, altissimo, un gradino sotto Dio. Col tempo ho imparato a conoscerlo, il professor Basso... "Beppe", come lo chiamavano tanti piccoli pazienti, attaccati alla flebo, sempre. Un bambino di due anni e mezzo diceva: «Qui in reparto comandano Basso e le Oss». Grazie professore.

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