Dieci anni di residenza per avere la casa Itea, giunta provinciale nuovamente «bastonata» dai giudici
La legge provinciale viola principi universali, e piazza Dante continua a pagare una multa di 50 euro al giorno perché non si adegua (e siamo ormai a 10 mila euro)
TRENTO. Nuova sconfitta giudiziaria della giunta provinciale trentina. La Corte d'appello di Trento ha rigettato l'appello presentato dalla Provincia autonoma contro l'ordinanza del Tribunale di Trento che aveva accolto il ricorso promosso dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione e da un cittadino etiope per contestare il requisito di 10 anni di residenza in Italia, richiesto dalla legge provinciale n.5 del 2019 per accedere sia agli alloggi pubblici sia a un contributo economico per il pagamento dei canoni.
"La sentenza della Corte d'appello - sottolinea l'Asgi - ha ribadito il carattere discriminatorio del requisito dei 10 anni di residenza sul territorio nazionale, in quanto in contrasto con la direttiva dell'Unione europea 109 del 2003 che garantisce parità di trattamento ai titolari di permesso di lungo periodo: parità che risulta invece violata da un requisito che va soprattutto a danno degli stranieri, che solo in una quota minoritaria possono far valere 10 anni di residenza in Italia".
"La Corte d'Appello - aggiunge Asgi -ha specificato che tale requisito non si può applicare né ai cittadini extracomunitari lungo soggiornanti, né a quelli dell'Unione europea, né a quelli italiani. Inoltre, la Corte trentina ha smontato la tesi secondo la quale il requisito sarebbe legittimo perché previsto anche dalla disciplina italiana sul reddito di cittadinanza".
Il giudice di appello ha ritenuto superfluo anche il rinvio alla Corte costituzionale perché l'obbligo di garantire parità di trattamento discende direttamente dalle norme dell'Unione e prevale sulla legge provinciale.
Ha quindi ordinato alla Provincia di Trento di "disapplicare" la legge provinciale e di modificare il regolamento attuativo eliminando il requisito dei 10 anni di residenza in Italia.
La Corte d'appello ha anche confermato la decisione di primo grado nella parte in cui condanna la provincia a pagare 50 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della ordinanza, che decorre dal 29 novembre 2020. Dalle casse provinciali, per la multa, sono già usciti 10 mila euro.